Ricorso proposto dalla Regione Veneto (c.f. 80007580279  -  P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della giunta regionale  dott.
Luca Zaia (c.f. ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  delibera  della
giunta regionale n. 190 del 20 febbraio 2018 (all. 1),  rappresentato
e difeso, per mandato a margine del presente atto,  tanto  unitamente
quanto   disgiuntamente,    dagli    avv.ti    Ezio    Zanon    (c.f.
ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (c.f. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Treviso  e  Luigi  Manzi
(c.f. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso
lo studio di quest'ultimo  in  Roma,  Via  Confalonieri,  n.  5  (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org); 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 
    per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle
seguenti disposizioni della legge 27 dicembre 2017, n. 205, (Bilancio
di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2018  e  bilancio
pluriennale per il triennio  2018-2020),  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017 - Suppl. ordinario n. 62: 
    1. art. 1, comma 37; 
    2. art. 1, comma 70; 
    3. art. 1, comma 71; 
    4. art. 1, comma 499; 
    5. art. 1, commi 679, 682 e 683; 
    6. art. 1, comma 778; 
    7. art. 1, comma 1072; 
    8. art. 1, commi 1079 e 1080. 
 
                               Motivi 
 
1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,   comma   37,   per
violazione  degli  articoli  3,  97,  117,  III  comma  e  119  della
Costituzione. 
    L'art. 1, comma  37,  proroga  al  2018  la  sospensione  -  gia'
disposta per il 2016 dal comma 26 dell'art. 1 della legge 28 dicembre
2015, n. 208 e poi prorogata per il 2017  con  l'art.  1,  comma  42,
lettera a) della legge 11 dicembre  2017,  n.  232  -  dell'efficacia
delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali, «nella parte in
cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle
regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai  livelli
di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015». 
    Si precisa che con il ricorso iscritto al reg.  ric.  n.  17  del
2016 la Regione Veneto aveva gia' impugnato l'art. 1, comma 26, della
legge n. 208 del 2015. Nel frattempo e' intervenuta  la  sentenza  n.
135  del  2017,  con  cui  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  ha
dichiarato inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1,  comma  26,  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,
promossa, sempre dalla Regione Veneto, in riferimento  agli  articoli
3,  5,  32,  97,  117,  terzo  e  quarto  comma,  118  e  119,  della
Costituzione. 
    Successivamente, con il ricorso iscritto al reg. ric. n.  19  del
2017 ha impugnato la proroga del medesimo blocco disposta con  l'art.
1, comma 42, lettera a) della legge n.  232  del  2016;  sul  ricorso
codesta ecc.ma Corte costituzionale non si e' ancora pronunciata. 
    La Regione Veneto, dal momento che nella suddetta sentenza n. 135
del 2017 codesta ecc.ma  Corte  costituzionale  non  e'  entrata  nel
merito della questione, ma ha dichiarato inammissibile  la  questione
proposta, ritiene pertanto opportuno tornare nuovamente  a  impugnare
la disposizione che  stabilisce  la  terza  proroga  consecutiva  del
blocco dei  poteri  impositivi  regionali,  strutturando  in  termini
diversi  dai  precedenti  le  argomentazioni  del  proprio   ricorso,
nell'intento di superare cosi' le questioni che hanno indotto,  nella
precedente  occasione,  codesta   ecc.ma   Corte   costituzionale   a
dichiarare inammissibile la questione. 
    1. Nello specifico la Regione ritiene che il  blocco  del  potere
impositivo regionale si ponga in violazione  del  corretto  esercizio
della funzione statale di coordinamento  di  cui  all'art.  117,  III
comma, e dell'art. art. 119, II comma,  laddove  prevede,  dopo  aver
affermato che comuni, le  province,  le  citta'  metropolitane  e  le
regioni hanno risorse autonome, questi  «[s]tabiliscono  e  applicano
tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i
principi di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario». 
    Infatti, il blocco del potere impositivo protratto per  il  terzo
anno consecutivo  determina  una  palese  violazione  delle  suddette
disposizioni, dal momento che  il  blocco  del  potere  regionale  di
«stabilire e  applicare»  viene  disposto  dal  censurato  intervento
statale di coordinamento con una motivazione, come  si  specifichera'
di seguito, priva di proporzionalita', con  violazione  quindi  anche
dell'art. 3 della Costituzione, la cui lesione  ridonda,  per  quanto
detto, sulle competenze regionali relative  all'autonomia  impositiva
regionale. 
    Al  riguardo  e'  innanzitutto  dirimente  precisare  che   nelle
precedenti occasioni (sentt. n. 381 del 2004, 284 e 298 del 2009)  in
cui codesta ecc.ma  Corte  ha  legittimato,  ritenendo  infondate  le
questioni sollevate dalle regioni,  il  blocco  dei  tributi  propri,
questo era contestuale alla giustificazione, addotta dal  legislatore
statale, dell'imminenza di riforme fondamentali (patto di  stabilita'
e federalismo fiscale), e non riguardava quindi, come invece nel caso
di specie, la proroga di un blocco (che tende quindi ad  assumere  un
carattere permanente) gia' disposto senza un  particolare  motivo  se
non quello, meramente politico di «contenere il  livello  complessivo
della pressione tributaria» (cosi' recita il  comma  26  dell'art.  1
della legge di stabilita' 2016, prorogato  con  la  disposizione  qui
impugnata). 
    Rispetto a tale scopo, che si  pone  in  radicale  contrasto  con
l'autonomia politica impositiva regionale, si pone la  questione  del
rispetto   del   principio   di   proporzionalita'    dell'intervento
coordinatore dello Stato (cfr. sentt. n. 326 del 2010 e  n.  236  del
2013  in  cui  la  Corte  ha  messo  in  relazione  con   l'obiettivo
prestabilito,  la  necessita'   del   rispetto   del   principio   di
proporzionalita': «la disciplina dettata  dal  legislatore  non  deve
ledere il canone generale  della  ragionevolezza  e  proporzionalita'
dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato»;  ma  si
veda anche la sentenza n. 272 del 2015). 
    In altre parole, in  assenza  -  a  differenza  delle  situazioni
oggetto dei precedenti  giurisprudenziali  -  di  una  situazione  di
riforma riguardante la finanza regionale e locale,  la  questione  e'
inerente a  quale  valore  costituzionale  sia  riconducibile  quello
indicato dal legislatore di «contenere il livello  complessivo  della
pressione  tributaria»,  al  punto  da  giustificare  il   sacrificio
dell'autonomia impositiva regionale. 
    Da questo punto di vista, appare difficile trovare un  fondamento
allo scopo perseguito dal legislatore statale,  dal  momento  che  la
Costituzione si connota piuttosto per la rilevanza che  essa  assegna
ai diritti sociali e al dovere tributario,  qualificato  come  dovere
inderogabile di solidarieta', che ne costituisce la principale  fonte
di finanziamento. 
    In questi  termini,  il  prorogato  blocco  alla  facolta'  delle
regioni, prevista dall'art. 119, II comma, di stabilire e applicare i
tributi  propri  non  trova  adeguata  giustificazione  nello   scopo
perseguito dal legislatore statale. 
    2. Cio' soprattutto se si considera, inoltre, anche da  ulteriori
punti di vista, la ben differente situazione, rispetto ai  precedenti
giurisprudenziali citati, in cui tale misura si trova oggi a cadere. 
    Facendo  infatti  riferimento  alla  Relazione   sulla   gestione
finanziaria delle regioni della Corte dei conti, sez.  autonomie  del
13 giugno 2017 (Deliberazione n. 17/SEZAUT/2017/FRG, pagina  43)  (1)
emerge che  le  regioni  hanno  subito  «nel  quadriennio  2015-2018,
ulteriori contributi a carico delle RSO (nella misura in  cui  questi
sono da considerarsi aggiuntivi rispetto a quelli  previsti  fino  al
2014), sia gli obiettivi di finanza pubblica a carico del  Fondo  per
il  Servizio  sanitario  nazionale,  con   relativa   riduzione   del
finanziamento di oltre 10,5 miliardi rispetto ai livelli programmati»
(enfasi ns.). 
    Tabella n. 9/SALDI - Effetto cumulato degli obiettivi di  finanza
pubblica 2015-2018 a carico delle RSO 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    Nello specifico, per la regione tali  misure  si  sono  tradotte,
nell'esercizio finanziario 2017, nei termini descritti nella seguente
tabella (2) : 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    Si tratta di dati  che  chiaramente  confermano  la  mancanza  di
proporzionalita'  in  cui   e'   incorso   il   legislatore   statale
nell'intervento impugnato e che  dimostrano  la  radicale  differenza
dell'attuale contesto normativo  rispetto  alle  situazioni  -  nelle
quali tagli al finanziamento regionale di questa  portata  non  erano
certo  avvenuti  -  che  sono  state  oggetto  di  valutazione  nelle
precedenti sentenze di codesta ecc.ma Corte costituzionale, le  quali
hanno ritenute (allora) infondate le censure sui blocchi  del  potere
impositivo regionale. 
    Si tratta, peraltro, di una situazione  normativa  e  finanziaria
attuale che ha trovato attenta considerazione nella giurisprudenza di
codesta ecc.ma Corte costituzionale proprio in funzione  del  valore,
non certo  di  «contenere  il  livello  complessivo  della  pressione
tributaria», bensi'  di  quello  di  garantire  adeguati  livelli  di
servizi ai cittadini. 
    Nella attuale congiuntura, infatti, e' la  stessa  giurisprudenza
di codesta ecc.ma Corte costituzionale che ha rimarcato la necessita'
che le regioni, nei  confronti  degli  enti  locali  destinatari  dei
finanziamenti  dalle  stesse  erogate,   non   alterino   il   quadro
finanziario di questi ultimi: nella sentenza  n.  275  del  2016,  ad
esempio, ha censurato  una  normativa  regionale  che  stabiliva  una
discrezionale  e  incerta  compartecipazione  della  regione  ad   un
servizio afferente  un  diritto  fondamentale  della  persona  (quale
quello erogato dalla provincia per il trasporto dei disabili);  nella
sentenza n. 10 del 2016, inoltre, ha censurato tagli  regionali  alle
risorse  provinciali  perche'  non  consentivano  di  finanziare   le
funzioni  conferite  alle  province  stesse,  al  punto  da  influire
negativamente sugli stessi cittadini, pregiudicando per gli stessi la
continuita' nella fruizione dei diritti di  rilevanza  sociale  (cfr.
anche la sentenza n. 188 del 2015). 
    Ritorna quindi, anche da questo punto di  vista,  la  valutazione
sulla proporzionalita' del  disposto  blocco  del  potere  impositivo
regionale, che stringe le regioni tra l'incudine e  il  martello:  il
martello  di  una  giurisprudenza  costituzionale   che   giustamente
richiede loro di continuare a garantire  i  trasferimenti  agli  enti
locali per i servizi e l'incudine di un pesante sistema di tagli, cui
pero' le stesse non possono reagire aumentando la  pressione  fiscale
regionale. 
    In questi termini si ritiene che la violazione del  principio  di
proporzionalita' sia da valutare anche alla luce  del  principio  del
buon andamento della pubblica  amministrazione  di  cui  all'art.  97
Cost., la cui violazione  ridonda  sull'autonomia  costituzionalmente
garantita alla regione dal momento che  proprio  la  possibilita'  di
continuare    a    garantire    adeguati    servizi    e'    preclusa
dall'impossibilita' di un autonomo  sforzo  fiscale  aggiuntivo,  con
quindi una ricaduta evidente sull'autonomia finanziaria regionale. 
    Quanto il contesto in cui interviene  la  disposizione  impugnata
sia  caratterizzato  nei   termini   descritti   risulta,   peraltro,
comprovato dai precisi e ripetuti moniti che codesta  ecc.  ma  Corte
costituzionale ha ritenuto di dover rivolgere al legislatore statale. 
    Basti ricordare il lungo elenco di pronunce che va dalla sentenza
n. 65 del 2016, che  non  si  esime  «dall'avvertire  che  interventi
statali, i quali modifichino repentinamente l'equilibrio del rapporto
tra autocoordinamento regionale  e  supplenza  statale  nel  delicato
settore dei  contributi  regionali  alla  finanza  pubblica,  restano
ovviamente soggetti allo stretto scrutinio di questa Corte, se  e  in
quanto investita del relativo giudizio», fino alla  sentenza  n.  169
del 2017,  dove  si  afferma  «nondimeno  deve  essere  rinnovato  al
legislatore l'invito a corredare le iniziative legislative  incidenti
sull'erogazione delle  prestazioni  sociali  di  rango  primario  con
un'appropriata istruttoria finanziaria. Cio' soprattutto al  fine  di
definire in modo appropriato, anche  tenendo  conto  delle  scansioni
temporali dei cicli di bilancio e piu' in generale  della  situazione
economica del Paese, il quadro delle  relazioni  finanziarie  tra  lo
Stato,  le  regioni  e  gli  enti  locali,  evitando  la  sostanziale
estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre  che  potrebbe
sottrarre al confronto  parlamentare  la  valutazione  degli  effetti
complessivi e sistemici di queste ultime in  un  periodo  piu'  lungo
(sentenza n. 154 del 2017)». 
    A ulteriore conforto di quanto detto va anche considerato che  e'
rimasto del tutto inascoltato anche il monito che, da un altro  punto
di  vista,  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  ha   rivolto   al
legislatore statale con sentenza n. 205 del 2016, quando in relazione
all'art. 1, comma 418 della  legge  n.  190/2014,  ha  affermato  che
disponendo  tale  norma  che  le  risorse  tagliate   alle   province
«affluiscano ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio  dello
Stato, si deve ritenere - e in  questi  termini  la  disposizione  va
correttamente interpretata - che tale allocazione sia destinata,  per
quel che riguarda le risorse degli enti di  area  vasta  connesse  al
riordino  delle  funzioni  non   fondamentali,   a   una   successiva
riassegnazione agli  enti  subentranti  nell'esercizio  delle  stesse
funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b,  della  legge
n. 56 del 2014)». Questo in quanto «[l]a previsione del versamento al
bilancio statale di risorse frutto della  riduzione  della  spesa  da
parte degli enti di area vasta  va  dunque  inquadrata  nel  percorso
della complessiva riforma  in  itinere.  E,  cosi'  intesa,  essa  si
risolve in uno specifico passaggio  della  vicenda  straordinaria  di
trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti  ad  essi
subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui  gestione  deve
necessariamente essere affidata allo Stato». 
    La sentenza ha quindi concluso che «[i] commi  418,  419  e  451,
dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo  comma,  Cost.
nei termini lamentati dalla ricorrente, perche'  le  disposizioni  in
essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse
ad apposito capitolo del bilancio  statale  (cosi'  come  l'eventuale
recupero delle somme a valere sui tributi di cui  al  comma  419)  e'
specificamente destinato al finanziamento delle funzioni  provinciali
non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente  nel
contesto del processo di riordino di tali funzioni  e  del  passaggio
delle relative risorse agli enti subentranti». 
    Nello specifico, quindi, codesta ecc.ma  Corte  ha  evidentemente
ritenuto  di  poter  evitare  la  dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale delle norme impugnate  solo  sul  presupposto  che  le
risorse prelevate sul territorio  in  favore  dello  Stato  dovessero
essere  destinate  a  una   successiva   riassegnazione   agli   enti
subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni. 
    Dalla sentenza, quindi, derivava un vincolo a carico dello Stato,
a finanziare le regioni con riguardo alle funzioni prima  provinciali
di cui si sono  fatte  carico,  che  pero'  non  e'  stato  minimante
considerato dal legislatore statale. 
    3.  Si   tratta   quindi,   nell'insieme,   di   una   situazione
concretamente dimostrata proprio dalle prese di posizione di  codesta
ecc.ma Corte costituzionale (e che in quanto tali  rendono  superflua
ogni  ulteriore  dimostrazione),  che  valgono,  in  tale   specifica
fattispecie, a porre la denunciata violazione degli articoli 3, 97  e
119 Cost. su un piano che prescinde dall'allegazione da  parte  della
Regione della dimostrazione (che assumerebbe il carattere di una vera
e propria probatio diabolica nella misura  in  cui  fosse,  peraltro,
pretesa nei ristretti tempi in cui nel  termine  di  sessanta  giorni
previsto dalla legge n. 87 del 1953) di un  vulnus  tale  da  rendere
impossibile lo svolgimento delle proprie funzioni. 
    Quello che la regione e' invece in grado  di  documentare  e'  il
gettito potenziale che avrebbe potuto ricavare in assenza del  blocco
dei tributi disposto dalla norma impugnata, che e' pari a 1.155 ml di
euro (3) . 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    4. Nello specifico,  occorre  inoltre  considerare,  a  ulteriore
dimostrazione della violazione dell'art.  119  Cost.,  che  in  forza
dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011  -  di  attuazione
della legge delega n. 42  del  2009  -  titolato  «Ulteriori  tributi
regionali», a decorrere dal 1° gennaio 2013, sono  stati  trasformati
in  tributi   propri   regionali:   la   tassa   per   l'abilitazione
all'esercizio professionale, l'imposta  regionale  sulle  concessioni
statali dei beni del demanio  marittimo,  l'imposta  regionale  sulle
concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio
indisponibile, la tassa per l'occupazione di spazi ed aree  pubbliche
regionali, le tasse  sulle  concessioni  regionali,  l'imposta  sulle
emissioni sonore degli aeromobili. 
    Al riguardo, codesta ecc.ma Corte costituzionale  nella  sentenza
n. 102 del 2008  ha  riconosciuto  in  relazione  ai  tributi  propri
autonomi, tra i quali rientrano ora quelli identificati  dall'art.  8
del decreto legislativo n. 68 del 2011, alle  regioni  una  «potesta'
legislativa esclusiva». 
    Dal momento che la norma impugnata pretende di  estendersi,  data
la sua formulazione, anche ai  tributi  propri  autonomi  di  cui  al
suddetto  art.  8,  essa,  anche  sotto  questo  profilo,   si   pone
chiaramente in violazione del disposto di cui all'art. 119 Cost.  che
invece prevede che siano le regioni, in piena autonomia una volta che
il coordinamento statale li abbia identificati  come  tributi  propri
autonomi, a stabilirli e applicarli. 
    Peraltro, va anche considerato che da questo punto di vista,  non
rilevano le argomentazioni espresse  nella  pregressa  giurisprudenza
(che in ogni caso, come si e' visto, per i motivi sopra esposti,  non
e' immediatamente pertinente alla fattispecie de quo e alla specifica
struttura    sull'impugnativa,    incentrata    sul    difetto     di
proporzionalita' dell'intervento statale di coordinamento) di codesta
ecc.ma Corte costituzionale, quando nei precedenti pronunciamenti sul
blocco della autonomia impositiva regionale ha ritenuto infondate  le
censure regionali affermando che «lo Stato puo' disporre in merito ai
tributi da esso istituiti, anche se il  correlativo  gettito  sia  di
spettanza regionale»: tali affermazioni erano, infatti,  riferite  ai
tributi propri derivati e non a quelli autonomi,  rispetto  ai  quali
esse non sono pertinenti. 
    5. Le censure esposte in termini di difetto di  proporzionalita',
peraltro,  si  confermano  anche  in  considerazione  della   tecnica
legislativa utilizzata, ovvero quella della  modifica  a  ripetizione
del termine del blocco,  rispetto  alla  quale  non  sembra  inutile,
ricordare che codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 154 del 2017  ha
stigmatizzato l'utilizzo di tale tecnica (nel caso deciso atteneva al
diverso versante delle  misure  di  taglio  dei  trasferimenti  e  di
contenimento della spesa) richiamando il legislatore a  desistere  da
queste forme  di  «transitorieta'  permanente»,  che  incidono  sulla
autonomia delle regioni e rinnovato, per la seconda volta,  «l'invito
al legislatore ad evitare iniziative le quali, anziche' "ridefinire e
rinnovare complessivamente, secondo le ordinarie scansioni  temporali
dei cicli di bilancio, il quadro delle relazioni finanziarie  tra  lo
Stato,  le  regioni  e  gli  enti  locali,  alla  luce  di  mutamenti
sopravvenuti nella situazione economica del Paese",  si  limitino  ad
estendere, di  volta  in  volta,  l'ambito  temporale  di  precedenti
manovre, sottraendo di fatto al confronto parlamentare la valutazione
degli effetti complessivi di queste ultime». 
    6. Occorre poi considerare che non sono  rilevanti,  ai  fini  di
escludere la lesivita' della disposizione impugnata,  le  deroghe  al
«blocco» disposte dall'art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015. 
    In particolare, occorre precisare che l'art. 1, comma 174,  della
legge 30 dicembre 2004, n. 311 e' applicabile a regioni  che  versino
in una ben precisa situazione: quella di un disavanzo di  gestione  a
fronte  del  quale  non  siano  stati  adottati,  ovvero  non   siano
sufficienti, i provvedimenti necessari a  ripianarlo.  In  merito  ai
suddetti  provvedimenti,  il  dato  normativo  dispone  che  «con  la
procedura di cui all'art. 8, comma 1, della legge 5 giugno  2003,  n.
131, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida  la  regione  a
provvedervi entro il 30  aprile  dell'anno  successivo  a  quello  di
riferimento». Quindi «[q] ualora la  regione  non  adempia,  entro  i
successivi trenta giorni il presidente della regione, in qualita'  di
commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del
Servizio sanitario regionale al fine di determinare il  disavanzo  di
gestione e adotta i necessari provvedimenti per il suo  ripianamento,
ivi inclusi gli  aumenti  dell'addizionale  all'imposta  sul  reddito
delle persone fisiche e le maggiorazioni  dell'aliquota  dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive entro le misure stabilite  dalla
normativa vigente». La deroga al blocco, pertanto, e' possibile  solo
in una situazione di disavanzo di gestione nel settore  sanitario  ed
e' funzionale al suo ripianamento. 
    E' dunque evidente come la derogatoria possibilita'  d'intervento
sui tributi da parte delle regioni, cosi' come e' strutturata, non si
presenti come una via percorribile  dalla  Regione  Veneto,  che  non
presenta un disavanzo di gestione nel settore sanitario. 
    Ne', peraltro, la considerazione  di  tale  deroga  incide  sulla
esposta censura inerente  il  difetto  di  proporzionalita',  che  si
evidenzia non  solo  quando  una  regione  versi  in  una  situazione
patologica,  ma  anche  quando,  proprio  per  non  incorrere  in  un
disavanzo, sia costretta - non potendo utilizzare  l'autonomo  sforzo
fiscale - a ridimensionare la spesa per i servizi erogati. 
    Quanto poi alla disposizione di cui all'art. 2 del  decreto-legge
8 aprile 2013, n. 35, convertito dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, va
rilevato che anch'essa si applica a fattispecie ben precise. La norma
si riferisce, infatti, a Regioni  «che  non  possono  far  fronte  ai
pagamenti dei debiti certi liquidi ed  esigibili  alla  data  del  31
dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura
o richiesta  equivalente  di  pagamento  entro  il  predetto  termine
[...]». 
    La possibilita' stabilita dall'art. l, comma  26,  di  effettuare
manovre   fiscali   incrementative   ai   fini   dell'accesso    alle
anticipazioni di liquidita' previste nella disposizione appena citata
si  riferisce  quindi  solo  a  regioni  con  evidenti  problemi   di
liquidita' a fronte di debiti certi, liquidi ed esigibili. Nuovamente
quindi, si deve evidenziare che si tratta  di  una  possibilita'  non
ravvisabile per la Regione Veneto che non  si  trova  nella  suddetta
situazione.  In  ogni  caso,  va  aggiunto  che,  come   le   deroghe
precedentemente considerate, essa vale  solo  per  il  settore  della
sanita' e in relazione ai debiti pregressi, con esclusione quindi  di
tutti gli altri settori in relazione ai  quali  la  Regione  potrebbe
invece ritenere utile procedere a  incrementi  della  propria  spesa,
come ad esempio quello della  spesa  di  investimento  relativa  alla
realizzazione di opere pubbliche e infrastrutture. 
    Anche altre norme, quali i commi 79, 80,  83  e  86  dell'art.  2
della legge n. 191 del 2009, si riferiscono a fattispecie  specifiche
non riferibili alla Regione Veneto. 
    Per  quanto  concerne  il  comma  79,  esso  prevede  un  aumento
automatico  dell'aliquota  dell'IRAP  e  dell'addizionale   regionale
dell'IRPEF contestualmente alla nomina di un commissario ad  acta  in
attuazione dell'art. 120 della Costituzione per la predisposizione  e
l'attuazione  del  Piano  di  rientro,  a   seguito   della   mancata
presentazione del Piano  o  di  parere  negativo  del  Consiglio  dei
ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle  finanze,  di
concerto con il Ministro della salute,  sentito  il  Ministro  per  i
rapporti con le regioni, del Piano presentato dalla Regione. I  commi
80, 83 e 86, inoltre, si applicano solo  alle  Regioni  sottoposte  a
Piano di rientro in ambito sanitario. 
    Alcuna delle fattispecie suddette e' sussumibile alla  condizione
della Regione Veneto. 
    7. In  conclusione  si  deve  ulteriormente  considerare  che  la
Regione Veneto si trova ad essere penalizzata dall'impugnato «blocco»
della manovrabilita' dei tributi propri, soprattutto  in  quanto  nel
periodo 2010/2017 e' stata l'unica tra le  regioni  ordinarie  a  non
aver disposto aumenti all'addizionale regionale all'Irpef. 
    Tale comportamento virtuoso rispetto allo  scopo  perseguito  dal
legislatore statale con la norma  impugnata  («contenere  il  livello
complessivo della pressione tributaria») diviene ora  paradossalmente
fattore di penalizzazione, dal momento che  in  base  alla  struttura
della  norma,  gli  aumenti  delle  aliquote  dei  tributi  e   delle
addizionali  attribuiti  alle  regioni  deliberati  prima  del   2015
rimangono in vigore e le relative regioni continuano a disporre di un
maggiore gettito che invece viene precluso alla ricorrente. 
2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,   comma   70,   per
violazione degli articoli 38, III e IV  comma,  97,  117,  III  e  IV
comma, 118 e 119, Cost. 
    1. L'art. 1, comma 70, prevede: «Per l'esercizio  delle  funzioni
di cui all'art. 1, comma 947, della legge 28 dicembre 2015,  n.  208,
e' attribuito un contributo di 75 milioni di euro per l'anno 2018  da
ripartire con le modalita' ivi previste». 
    La norma rifinanzia, ma solo per  il  2018,  un  contributo  alle
spese  delle  regioni  relative  alle  funzioni  di  assistenza   per
l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilita'
fisiche o sensoriali. 
    Si tratta di funzioni che  con  il  processo  di  riordino  delle
province sono state assegnate alle regioni con l'art.  l,  comma  947
della legge n. 208 del 2015, «a decorrere dal 1° gennaio 2016». 
    In  forza  di  tale   disposizione,   infatti,   «Ai   fini   del
completamento del processo di riordino delle funzioni delle province,
di cui all'art. 1, comma 89, della legge 7 aprile  2014,  n.  56,  le
funzioni relative all'assistenza per l'autonomia e  la  comunicazione
personale degli alunni con disabilita' fisiche o sensoriali,  di  cui
all'art. 13, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e relative
alle esigenze di cui all'art. 139, comma 1, lettera c),  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono  attribuite  alle  regioni  a
decorrere  dal  1°  gennaio  2016,  fatte   salve   le   disposizioni
legislative  regionali  che  alla  predetta   data   gia'   prevedono
l'attribuzione delle predette funzioni  alle  province,  alle  citta'
metropolitane o ai comuni, anche in forma associata. Per  l'esercizio
delle predette funzioni e' attribuito un contributo di 70 milioni  di
euro per l'anno 2016. Con decreto del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, su proposta del Ministro delegato per gli affari  regionali
e le autonomie locali, di concerto con il  Ministro  dell'economia  e
delle finanze e con il Ministro dell'interno, previa intesa  in  sede
di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo  28
agosto 1997, n. 281, da emanare entro trenta  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della presente legge, si provvede  al  riparto  del
contributo di cui al periodo precedente  tra  gli  enti  territoriali
interessati,  anche  frazionandolo,  per  l'anno  2016,  sulla   base
dell'anno scolastico di riferimento, in due erogazioni, tenendo conto
dell'effettivo esercizio delle funzioni di cui al primo periodo». 
    Nello specifico, si tratta delle funzioni disciplinate  dall'art.
13, comma 3 della legge n. 104 del 1992, dove si afferma che «[n]elle
scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi  del  decreto
del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e  successive
modificazioni, l'obbligo per gli enti locali di fornire  l'assistenza
per  l'autonomia  e  la  comunicazione  personale  degli  alunni  con
handicap fisici o sensoriali, sono garantite  attivita'  di  sostegno
mediante l'assegnazione di docenti specializzati». 
    Tale funzione  prevede,  quindi  un'assistenza  specialistica  ad
personam che dev'essere fornita al singolo studente con disabilita' -
in  aggiunta  all'assistente  igienico-personale,  all'insegnante  di
sostegno e agli insegnanti curricolari - per sopperire ai problemi di
autonomia e/o comunicazione sussistenti nello studente. 
    La tradizionale applicazione di questo istituto  ha  avuto  quali
principali destinatari gli studenti con disabilita' di  comunicazione
(udito e parola). Ma una corretta lettura del  dettato  normativo  ha
consentito la giusta diffusione dell'assistente all'autonomia e  alla
comunicazione anche ad altre  tipologie  di  disabilita',  diretta  a
garantire l'assistenza specialistica ad personam a tutti gli studenti
con disabilita' fisica, psichica o  sensoriale,  la  cui  gravita'  o
limitazione  di  autonomia,  determini  l'inevitabile  necessita'  di
assistenza per un regolare apprendimento delle nozioni scolastiche. 
    Inoltre, la  funzione  che  e'  stata  trasferita  alle  regioni,
facendo riferimento anche  all'art.  139,  lettera  c),  del  decreto
legislativo  n.  112  del  1998,   concerne   anche,   in   relazione
all'istruzione secondaria superiore, il servizio di  trasporto  degli
alunni con handicap o in situazione di svantaggio. 
    In base al suddetto art. 139,  lettera  c),  infatti:  «1.  Salvo
quanto previsto dall'art. 137 del presente  decreto  legislativo,  ai
sensi dell'art. 128 della Costituzione sono attribuiti alle province,
in relazione all'istruzione secondaria superiore,  e  ai  comuni,  in
relazione agli altri gradi  inferiori  di  scuola,  i  compiti  e  le
funzioni concernenti: 
    ... 
        c) i  servizi  di  supporto  organizzativo  del  servizio  di
istruzione  per  gli  alunni  con  handicap  o   in   situazione   di
svantaggio». 
    Tale interpretazione e' stata confermata Consiglio di Stato,  con
il parere del 20 febbraio 2008, n.  213:  «essendo  stata  trasferita
alla provincia  (v.  art.  139  decreto  legislativo  n.  112/98)  la
competenza amministrativa gia' esercitata dallo  Stato  relativamente
ai servizi di  supporto  organizzativo  del  servizio  di  istruzione
secondaria superiore per gli alunni portatori di handicap e potendosi
e dovendosi far rientrare nel concetto di  "supporto  organizzativo",
in mancanza di diversa piu' specifica disciplina, anche il  trasporto
scolastico degli alunni di tali  tipi  di  scuole,  (come  del  resto
rilevato dalla giurisprudenza)  sara'  la  provincia  a  doversi  far
carico dell'esercizio di tale incombenza». 
    2. In relazione a questa complessa e delicata  funzione,  che  e'
stata attribuita stabilmente (l'art. l, comma 947 della legge n.  208
del  2015  stabilisce  infatti,  come  detto,  l'attribuzione   della
funzione «a decorrere dal 1° gennaio 2016»)  alle  Regioni  in  forza
dell'attuazione dell'art. 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014,  n.
56, la disposizione  impugnata  prevede  un  mero  finanziamento  una
tantum, limitato esclusivamente all'anno 2018. 
    E' evidente, allora, la contraddizione tra l'attribuzione di  una
assegnazione «a decorrere dal 2016» e un finanziamento limitato ad un
sola annualita'. 
    In questi termini la disposizione  impugnata  non  consente  alle
regioni la possibilita' di una programmazione stabile del servizio  a
favore degli alunni con disabilita', nella misura in cui non  dispone
una forma di finanziamento disposta «a decorrere dall'anno 2018». 
    E' di tutta evidenza che un servizio di  tale  portata  non  puo'
essere organizzato dalle regioni senza una certezza sulla  proiezione
pluriennale del relativo finanziamento, dal momento che esso  implica
sia  una   spesa   in   formazione   degli   insegnanti   (assistenti
all'autonomia e alla comunicazione), sia una spesa di investimento in
relazione ai mezzi di trasporto. 
    E' palese, infatti, che un finanziamento individuato nella  forma
del  contributo  una  tantum,  senza  alcun  impegno  per  gli   anni
successivi, impedisce un'adeguata strutturazione del servizio  in  un
ambito tanto delicato, all'interno del quale  sono  coinvolti  valori
costituzionali ai quali questa ecc.ma Corte  ha  dedicato  precisa  e
attenta considerazione. 
    Da ultimo, infatti, nella sentenza n. 275 del 2016, questa ecc.ma
Corte ha evidenziato:  «in  attuazione  dell'art.  38,  terzo  comma,
Cost.,  il  diritto  all'istruzione  dei  disabili  e  l'integrazione
scolastica degli stessi sono previsti, in particolare, dalla legge  5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza,  l'integrazione
sociale  e  i  diritti  delle  persone   handicappate)»,   la   quale
«attribuisce al disabile  il  diritto  soggettivo  all'educazione  ed
all'istruzione a partire dalla scuola materna fino  all'universita'»;
e che «la partecipazione del  disabile  "al  processo  educativo  con
insegnanti e compagni  normodotati  costituisce  [...]  un  rilevante
fattore di socializzazione e puo'  contribuire  in  modo  decisivo  a
stimolare le potenzialita' dello svantaggiato (sentenza  n.  215  del
1987)" (sentenza n. 80 del 2010)». 
    Ha quindi precisato che «Il diritto all'istruzione  del  disabile
e' consacrato nell'art. 38 Cost., e spetta al legislatore predisporre
gli strumenti  idonei  alla  realizzazione  ed  attuazione  di  esso,
affinche' la sua affermazione non si traduca in una  mera  previsione
programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale. 
    La natura fondamentale del  diritto,  che  e'  tutelato  anche  a
livello internazionale dall'art. 24 della Convenzione  delle  Nazioni
Unite  sui  diritti   delle   persone   con   disabilita',   adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  il  13  dicembre  2006,
ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo  2009,  n.  18,  impone
alla discrezionalita' del  legislatore  un  limite  invalicabile  nel
"rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati"
(sentenza n. 80 del 2010),  tra  le  quali  rientra  il  servizio  di
trasporto  scolastico  e  di  assistenza  poiche',  per  lo  studente
disabile, esso costituisce una componente  essenziale  ad  assicurare
l'effettivita' del medesimo diritto». 
    Ha quindi censurato quelle disposizioni legislative  che  lascino
«incerta  nell'an  e  nel  quantum  la  misura  della  contribuzione»
rendendola «aleatoria, traducendosi negativamente sulla  possibilita'
di programmare il servizio e di garantirne  l'effettivita',  in  base
alle esigenze presenti sul territorio», al punto di ritenere  viziata
da incostituzionalita', per violazione dell'art. 38, terzo  e  quarto
comma, Cost., una norma regionale  che  non  garantiva  «la  certezza
delle disponibilita' finanziarie per il soddisfacimento del  medesimo
diritto». 
    Tale certezza, sul piano necessariamente  pluriennale  nel  quale
solo puo' essere efficacemente organizzato il  servizio,  viene  meno
con la norma impugnata, che si limita a prevedere un contributo  solo
per l'annualita' 2018, lasciando del  tutto  aleatoria  la  questione
inerente agli anni successivi. 
    Risulta quindi violato l'art. 119  Cost.,  e  in  particolare  il
comma IV dello stesso, nella parte in cui afferma  il  principio  del
finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite agli enti
territoriali. 
    E' evidente che il  senso  di  tale  disposizione  e'  quello  di
assicurare una autonomia  finanziaria  fondata  sul  principio  della
certezza delle risorse disponibili. 
    Nello specifico, la norma in questione, pur  essendo  relativa  a
una funzione «attribuita» stabilmente alle regioni, la finanzia  solo
per  il  2018,  lasciando  del  tutto  aleatoria  la  questione   del
finanziamento per gli anni successivi, violando in questi termini  il
principio sostanziale implicato nell'art. 119, IV comma,  Cost.,  che
e' appunto funzionale a garantire stabilita' alle risorse  necessarie
per lo svolgimento delle funzioni attribuite. 
    Dal momento che l'ambito cui si  riferisce  il  finanziamento  e'
quello dei servizi ai disabili, viene violato anche l'art. 38,  terzo
e quarto comma, Cost., poiche' in assenza di certezza di risorse, non
e'   possibile   una   programmazione   pluriennale   del   servizio,
determinandosi  altresi'  una  violazione  del  principio  del   buon
andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. 
    Tale violazioni ridondano con  tutta  evidenza  sulla  competenza
legislativa  regionale  in  materia  di  assistenza  sociale  di  cui
all'art. 117, III  e  IV  comma,  dal  momento  che  la  legislazione
regionale, in assenza di una stabilita' del  contributo,  non  e'  in
grado  di  disciplinare  adeguatamente  la  materia,  e   su   quella
amministrativa di cui all'art. 118  Cost.,  poiche',  a  cascata,  la
funzione  amministrativa  regionale  non  puo'  essere  efficacemente
organizzata. 
    3. Ma vi e' di piu'. 
    Le stesse risorse stanziate per il  2018  non  solo  impediscono,
come detto, una proiezione stabile del finanziamento  sugli  esercizi
successivi, ma altresi' coprono a malapena la  meta'  del  fabbisogno
riscontrato a livello nazionale  dal  Governo,  che  e'  pari  a  112
milioni (doc. 2: Conferenza delle regioni e delle province  autonome,
posizione sul disegno di legge bilancio di previsione dello stato per
l'anno finanziario  2018  e  bilancio  pluriennale  per  il  triennio
2018-2020, 9 novembre 2017, pag. 7). 
    In questi termini, la disposizione impugnata si pone in contrasto
anche con quanto affermato da  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale
nella  sentenza  n.  205  del  2016,  pronunciata  a  seguito   della
impugnazione della Regione Veneto dell'art. 1, commi 418, 419 e  451,
della legge n. 190 del 2014, che denunciava come, nella misura in cui
il passaggio di risorse dal  bilancio  provinciale  (e  delle  Citta'
Metropolitane) veniva disposto senza  alcuna  parallela  prescrizione
circa la destinazione che lo Stato avrebbe dovuto  imprimere  a  tali
risorse, salvo l'unico riferimento al vincolo a versare l'importo  ad
apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, si realizzasse
un vulnus all'autonomia finanziaria di spesa e il capovolgimento  dei
meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di  risorse  dallo
Stato alla periferia di cui all'art. 119, I, II e III comma Cost. 
    In tale pronuncia codesta ecc.ma Corte ha dichiarato non  fondata
la questione, ma solo sul presupposto che, «disponendo il  comma  418
che le risorse  affluiscano  ad  apposito  capitolo  di  entrata  del
bilancio dello Stato, si deve ritenere  -  e  in  questi  termini  la
disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia
destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area  vasta
connesse  al  riordino  delle  funzioni  non  fondamentali,   a   una
successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio  delle
stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b,  della
legge n. 56 del 2014)».  Questo  in  quanto  «  [l]a  previsione  del
versamento al bilancio statale  di  risorse  frutto  della  riduzione
della spesa da parte degli enti di area vasta  va  dunque  inquadrata
nel percorso della complessiva riforma in itinere. E,  cosi'  intesa,
essa  si  risolve  in   uno   specifico   passaggio   della   vicenda
straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti  ai  nuovi
soggetti ad essi subentranti nelle funzioni  riallocate,  vicenda  la
cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato». 
    La sentenza ha quindi concluso che «[i] commi  418,  419  e  451,
dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo  comma,  Cost.
nei termini lamentati dalla ricorrente, perche'  le  disposizioni  in
essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse
ad apposito capitolo del bilancio  statale  (cosi'  come  l'eventuale
recupero delle somme a valere sui tributi di cui  al  comma  419)  e'
specificamente destinato al finanziamento delle funzioni  provinciali
non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente  nel
contesto del processo di riordino di tali funzioni  e  del  passaggio
delle relative risorse agli enti subentranti». 
    Nello specifico, quindi, codesta ecc.ma  Corte  ha  evidentemente
ritenuto  di  poter  evitare  la  dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale delle norme impugnate  solo  sul  presupposto  che  le
risorse prelevate sul territorio  in  favore  dello  Stato  dovessero
essere  destinate  a  una   successiva   riassegnazione   agli   enti
subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni. 
    Dalla sentenza, quindi, derivava un vincolo a carico dello Stato,
che pero' non e' stato minimante considerato,  neppure  in  occasione
del finanziamento della delicatissima  funzione  assegnata  -  lo  si
ribadisce - «a decorrere dal 2016» e che invece viene finanziata solo
per l'anno 2018. 
    L'omessa attuazione del disposto della sentenza n. 205  del  2016
ha quindi prodotto nel caso di specie quella violazione dell'art. 119
Cost. che codesta ecc.ma Corte aveva escluso sul solo presupposto che
il legislatore  statale  ottemperasse  a  un  vincolo  a  suo  carico
concernente tale riassegnazione. 
    In cio' si conferma ulteriormente  la  violazione  dell'art.  119
della Costituzione, dal momento che la disposizione impugnata,  cosi'
come e' strutturata, vanifica  l'obbligo  che  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale, con la sentenza  n.  205  del  2016,  ha  imposto  al
legislatore, per cui le risorse stabilmente tagliate alle province  e
alle citta' metropolitane per le loro  funzioni  e  incamerate  dallo
Stato avrebbero  dovuto  essere  stabilmente  riassegnate  agli  enti
subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni. 
    Ne deriva pertanto la illegittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 70, nella parte in cui prevede che il contributo sia  assegnato
solo «per l'anno 2018», anziche' «a decorrere  dall'anno  2018»,  per
violazione degli articoli 38, III e IV  comma,  97,  117,  III  e  IV
comma, 118 e 119, Cost. 
3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,   comma   71,   per
violazione degli articoli 117, III  e  IV  comma,  118  e  119  della
Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della  Costituzione  per
violazione del principio di leale collaborazione. 
    1. L'art. 1, comma 71, interviene sulla disciplina  dell'utilizzo
delle risorse del Fondo per  il  rinnovamento  del  parco  mezzi  del
trasporto pubblico locale e regionale, prevedendo la possibilita'  di
destinare fino a 100 milioni di euro delle risorse  gia'  disponibili
per  ciascuno  degli  anni  2019-2033  ai  progetti  sperimentali   e
innovativi di mobilita' sostenibile finalizzati  all'introduzione  di
mezzi su gomma ad alimentazione alternativa e relative infrastrutture
di  supporto,  che  siano  presentati  dai  comuni  e  dalle   citta'
metropolitane. Alle stesse finalita' possono essere  destinate  anche
le  risorse  gia'  stanziate  per  la  competitivita'  delle  imprese
produttrici di beni e servizi nella filiera dei  mezzi  di  trasporto
pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto. 
    La norma, pertanto, specifica la destinazione di una parte  delle
somme che sono gia' stanziate sul Fondo per il rinnovamento del parco
mezzi del trasporto pubblico locale e regionale, in base  alla  legge
di bilancio 2017, e ne definisce le modalita' di utilizzo. 
    L'articolo si configura, infatti, come una  novella  all'art.  1,
comma 613, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, che a sua  volta  e'
intervenuto al fine  di  modificare  la  disciplina  e  la  dotazione
finanziaria del Fondo istituito dall'art. 1, comma 866,  della  legge
n. 208/2015, la cui operativita' era stata differita  al  1°  gennaio
2017 dall'art. 7, comma 11-quater, del decreto-legge n. 210 del 2015. 
    La norma prevede, in dettaglio, la possibilita'  che  le  risorse
del Fondo per l'adeguamento del parco mezzi  destinato  al  trasporto
pubblico   locale   e   regionale,   che   e'    finalizzato    anche
all'accessibilita' per persone a mobilita'  ridotta,  possano  essere
destinate al finanziamento di progetti sperimentali e  innovativi  di
«mobilita' sostenibile» per un importo sino a 100 milioni di euro per
ciascuno degli anni dal 2019 al 2033. 
    La norma richiede che tali progetti  siano:  a)  coerenti  con  i
Piani Urbani di  Mobilita'  Sostenibile  (PUMS)  ove  previsti  dalla
normativa vigente; b) finalizzati all'introduzione di mezzi su  gomma
ad alimentazione alternativa e relative infrastrutture  di  supporto;
c) presentati dai comuni e dalle citta' metropolitane. 
    Al riguardo, e' opportuno  ricordare  che  il  Fondo  finalizzato
all'acquisto diretto, anche per il tramite di societa' specializzate,
nonche'  alla   riqualificazione   elettrica   e   al   miglioramento
dell'efficienza  energetica  o  al  noleggio  dei  mezzi  adibiti  al
trasporto pubblico locale e regionale, e' stato istituito, presso  il
MIT, dal ricordato art. 1, comma 866, della legge n.  208  del  2015,
onde garantire  il  concorso  dello  Stato  al  raggiungimento  degli
standard europei del parco  mezzi  destinato  al  trasporto  pubblico
locale e regionale, e in particolare per l'accessibilita' per persone
a mobilita' ridotta. Sul Fondo sono affluite, previa  intesa  con  le
regioni, le risorse disponibili di cui all'art. 1,  comma  83,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, e  successivi  rifinanziamenti;  tali
risorse sono state finalizzate al rinnovo dei parchi  automobilistici
destinati al trasporto pubblico locale regionale e interregionale. 
    In attuazione del suddetto art. 1, comma 866, sono  stati  quindi
emanati due decreti ministeriali di riparto  dei  fondi:  il  decreto
ministeriale 10 giugno 2016, n. 209, poi annullato  in  seguito  alla
sentenza n. 211 del 2016 di codesta ecc.ma Corte  costituzionale  che
ha imposto l'obbligo  di  conseguire  l'Intesa  con  le  regioni  sul
medesimo  decreto,  che  quindi  e'  stato  sostituito  dal   decreto
ministeriale 28 ottobre 2016, n. 345. 
    L'art. 1, comma 613, della legge n. 232/2016 ha poi  incrementato
le risorse attribuite al Fondo, istituito dal citato  comma  866,  di
altri 200 milioni di euro per il 2019 e di 250 milioni  per  ciascuno
degli anni dal 2020 al 2033, nonche' ne  ha  esteso  le  finalita'  e
l'art. 1, comma 615, della medesima legge ha  previsto  la  redazione
del Piano strategico della mobilita' sostenibile (PUMS), destinato al
rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale  e
regionale,  alla  promozione  e  al  miglioramento   della   qualita'
dell'aria con tecnologie  innovative,  in  attuazione  degli  accordi
internazionali  nonche'  degli   orientamenti   e   della   normativa
comunitaria. 
    Al riguardo va precisato che la Regione Veneto ha impugnato,  con
il ricorso reg. ric. n. 19 del 2017, l'art. l comma 615, nella  parte
in cui prevede che il  Piano  strategico  nazionale  della  mobilita'
sostenibile sia adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri  (su  proposta  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, di concerto  con  i  Ministri  dello  sviluppo  economico,
dell'economia e delle finanze e dell'ambiente) senza alcuna forma  di
coinvolgimento delle regioni e in quella in cui conferma la  medesima
mancanza di coinvolgimento  anche  in  relazione  all'emanazione  del
decreto  del  Ministro  dello  sviluppo  economico   con   cui   sono
disciplinati gli interventi. 
    2. La medesima mancanza di coinvolgimento si rinviene nella norma
qui impugnata nella parte in cui rinvia,  per  la  definizione  delle
modalita' di utilizzo della suddetta quota di risorse del  Fondo  per
il rinnovamento del parco  mezzi  del  trasporto  pubblico  locale  e
regionale, all'emanazione di un apposito decreto del  Ministro  delle
infrastrutture  e  trasporti,  di  concerto  con  il  Ministro  dello
sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e  finanze.  Anche
in  questo  caso,  infatti,  non  e'   prevista   alcuna   forma   di
coinvolgimento delle regioni. 
    L'illegittimita' costituzionale diventa evidente alla luce  della
sentenza n. 211 del 2016,  con  la  quale  codesta  ecc.ma  Corte  ha
stabilito che i criteri di riparto del Fondo  per  l'adeguamento  del
parco mezzi  destinato  al  trasporto  pubblico  locale  e  regionale
possono legittimamente essere determinati da un decreto ministeriale,
solo previa intesa con le regioni. 
    Questo in quanto i) si tratta di un intervento  di  finanziamento
che «attiene  a  materia  sicuramente  rientrante,  come  piu'  volte
ribadito da questa  Corte,  nell'ambito  delle  competenze  regionali
residuali, qual e' quella del  trasporto  pubblico  locale»,  ii)  si
tratta di  «risorse  aggiuntive  rispetto  alla  ordinaria  capacita'
finanziaria regionale locale finalizzate a un intervento specifico  e
vincolato ma a  carattere  generale  non  essendo  destinato  solo  a
determinati  ambiti   territoriali»,   iii)   per   cui   «l'impianto
costituzionale relativo alla competenza residuale  delle  regioni  in
materia di trasporto pubblico  locale  e  di  interventi  statali  di
finanziamento in tale settore  deve  conciliarsi  con  l'esigenza  di
assicurare la massima continuita', adeguatezza e grado di omogeneita'
del servizio di  trasporto  pubblico  locale  sull'intero  territorio
nazionale. La predetta esigenza e' soddisfatta attraverso il concorso
di tutti  gli  apporti  finanziari  possibili,  ivi  compresi  quelli
statali in  funzione  di  sostegno  ed  integrazione  delle  limitate
risorse regionali  disponibili,  siano  gli  interventi  a  carattere
generale, siano invece mirati a finalita' specifiche». 
    Richiamando,  quindi,  in  relazione  al   principio   di   leale
collaborazione, sia la sentenza n. 273 del 2013, sia le  sentenze  n.
168 del 2008 e n. 222 del 2005, la sentenza ha concluso che  «proprio
perche' tale finanziamento interessa materia comunque  di  competenza
residuale regionale quale e' il trasporto  pubblico  locale,  occorre
assicurare il  piu'  ampio  coinvolgimento  decisionale  del  sistema
regionale in ordine al riparto delle risorse finanziarie in  oggetto;
coinvolgimento che si realizza attraverso lo strumento della  "previa
intesa" con la Conferenza permanente Stato-Regioni (in tal senso,  ex
multis, sentenza n. 168 del 2008 ma anche, da ultimo, sentenza n. 147
del 2016)». 
    Trattandosi, nel caso della norma impugnata,  della  destinazione
di una  quota  delle  risorse  del  medesimo  Fondo,  valgono  quindi
pienamente i principi affermati nella citata sentenza, dove  peraltro
una forma minima, ma non  ritenuta  sufficiente  dalla  sentenza,  di
coinvolgimento delle regioni era prevista dalla formula  «sentite  le
regioni». 
    Infatti, poiche' tale finanziamento interviene in  un  ambito  di
competenza    regionale,    il    rispetto     delle     attribuzioni
costituzionalmente riconosciute alle regioni impone di prevedere  che
queste ultime siano pienamente coinvolte, attraverso la previsione di
una Intesa, nei processi decisionali  concernenti  il  riparto  delle
suddette risorse. 
    La norma impugnata,  pertanto,  si  pone  in  contrasto  con  gli
articoli  5  e  120  della  Costituzione,  sul  principio  di   leale
collaborazione, dal momento  che  non  dispone  tale  coinvolgimento,
violando di  conseguenza  l'autonomia  legislativa  e  amministrativa
regionale di cui gli articoli 117, III e IV comma, e 118,  in  quanto
interviene in una materia  attinente  al  trasporto  pubblico  locale
prevendendo, tuttavia, che le risorse del Fondo siano unilateralmente
ripartite con decreto ministeriale. 
    Risulta inoltre violato  anche  l'art.  119  della  Costituzione,
poiche' secondo la giurisprudenza consolidata di codesta ecc.ma Corte
costituzionale,  la  possibilita'  di  istituire  e  ripartire  fondi
statali a destinazione vincolata rivolti agli enti territoriali,  non
solo nel caso di intreccio di materie (sentenza n. 168 del 2008),  ma
anche  in  caso  di  potesta'  legislativa  regionale  residuale  (ex
plurimis, la sentenza  n.  27  del  2010  e  n.  222  del  2005),  e'
subordinata alla previsione del coinvolgimento delle regioni (tra  le
tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013). 
4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   499,   per
violazione degli articoli 117, III  e  IV  comma,  118  e  119  della
Costituzione e 5 e 120 sul principio di leale collaborazione. 
    1. L'art. 1, comma 499, prevede l'istituzione, tramite la riforma
dell'art. 13 del decreto legislativo n. 228 del 2001 («Orientamento e
modernizzazione del settore agricolo»), dei cd. «distretti del cibo»,
per mezzo dei quali il legislatore mira a tutelare, nella prossimita'
territoriale, un interesse pubblico di cui le regioni  devono  tenere
conto nel programmare le loro politiche di sviluppo. 
    La norma quindi e' diretta a rafforzare il  sostegno  alle  forme
organizzative locali sostituendo i previgenti  distretti  «rurali»  e
«agroalimentari di qualita'», con i nuovi «distretti  del  cibo»  che
assorbono i precedenti e presentano ulteriori requisiti. 
    Nello specifico, le finalita' dichiarate al novellato primo comma
dell'art. 13 sono quelle di promuovere lo sviluppo  territoriale,  la
coesione e l'inclusione sociale, favorire l'integrazione di attivita'
caratterizzate da prossimita' territoriale,  garantire  la  sicurezza
alimentare, diminuire l'impatto ambientale delle produzioni,  ridurre
lo spreco alimentare e salvaguardare il  territorio  e  il  paesaggio
rurale attraverso le attivita' agricole e agroalimentari. 
    A tal fine, il novellato art. 13 definisce, al secondo comma,  le
fattispecie dei distretti del cibo e rimette alle regioni il  compito
di  individuarli,  dandone  poi  comunicazione  al  Ministero   delle
politiche  agricole  alimentari  e  forestali,  presso  il  quale  e'
istituito  il  «Registro  nazionale  dei  distretti  del  cibo»   che
raccoglie i distretti riconosciuti dalle regioni, come  disposto  dal
III comma. 
    Il novellato art. 13, inoltre, al quarto comma, prevede  che,  al
fine di sostenere gli interventi per la creazione e il consolidamento
dei distretti,  si  applichino  le  disposizioni  gia'  previste  nel
decreto ministeriale MiPAAF n. 1192 dell'8  gennaio  2016,  attuativo
dall'art. 66 della legge n. 289  del  2002,  recante  i  criteri,  le
modalita' e le procedure per l'attuazione dei contratti di distretto.
Piu' precisamente, in base alla definizione contenuta  nella  lettera
h) del suddetto decreto tali contratti sono «accordi sottoscritti dal
MiPAAF e dai diversi soggetti operanti nel territorio  del  distretto
che hanno sottoscritto un accordo  di  distretto  (che  individua  il
soggetto proponente, gli  obiettivi,  le  azioni,  i  progetti  degli
operatori della filiera, i tempi di realizzazione, i risultati e  gli
obblighi reciproci dei soggetti beneficiari)  e  che,  in  base  alla
normativa regionale, rappresentano i distretti di cui all'art. 13 del
decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228  (i  distretti  rurali  ed
agroalimentari di qualita'), finalizzato  alla  realizzazione  di  un
Programma volto a rafforzare lo  sviluppo  economico  e  sociale  dei
distretti stessi». 
    Gli interventi ivi previsti sono finalizzati  alla  realizzazione
di programmi di investimenti, che vengono agevolati con un  ammontare
delle spese ammissibili compreso tra 4 milioni e 50 milioni  di  euro
(limite finanziario complessivo fissato con  deliberazione  del  CIPE
come disciplinato dalla richiamata norma dell'art. 66, comma 1, della
legge n. 289 del 2002). 
    Tuttavia, per la disciplina dell'attuazione degli  interventi  di
cui al quarto comma, il successivo quinto comma  del  nuovo  art.  13
rinvia ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari
e forestali, emanato di  concerto  con  il  Ministro  dello  sviluppo
economico, ma solo sentita la Conferenza permanente  per  i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome. 
    Pertanto, in questi termini, nella misura in cui non  prevede  un
adeguato coinvolgimento delle regioni attraverso la previsione di una
Intesa per la emanazione del suddetto decreto, la norma  si  dimostra
lesiva del riparto di competenze di cui agli articoli 117, III  e  IV
comma, 118, 119 Cost. nonche' 5 e 120 Cost. sul  principio  di  leale
collaborazione. 
    2. E' di tutta evidenza, infatti, che  l'  ambito  materiale  cui
attengono le norme impugnate  e'  relativo  a  materie  riconducibili
quali «agricoltura» - che per  esplicito  riconoscimento  di  codesta
ecc.ma  Corte  rientra  tra  le  competenze  regionali  di  carattere
residuale (sent. n. 12 del 2004 che riconosce come l'agricoltura  sia
una «competenza legislativa affidata in via residuale alle regioni  e
sottratta  alla   competenza   legislativa   statale»;   orientamento
confermato ex multis, sentenze n. 282 del 2004, n. 116 del  2006,  n.
62 del 2013, nn. 16, 38,  60  del  2015  e  n.  261  del  2017)  -  e
«alimentazione», rientrante nella potesta' legislativa concorrente di
cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. 
    Cio' nonostante con riguardo alle modalita' ed alle procedure per
l'attuazione  degli  interventi,  la  norma  del  quinto  comma   del
novellato art. 13 prevede  che,  per  l'emanazione  del  decreto  del
Ministro delle politiche agricole alimentari e  forestali,  sia  solo
«sentita la Conferenza permanente per i rapporti  tra  lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano»,  prevedendo
quindi un coinvolgimento non adeguato delle regioni. 
    Al riguardo, infatti, e' opportuno ricordare che  codesta  ecc.ma
Corte, in relazione ad un'analoga fattispecie, con la  sent.  n.  165
del 2007, vertente sulla questione di legittimita' dell'art. 1, commi
366 e 368, della legge 23 dicembre 2005,  n.  266,  relativamente  ai
«distretti produttivi», e' intervenuta  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale delle suddette disposizioni  appunto  per  la  mancata
previsione della previa Intesa con la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento  e
Bolzano. 
    Infatti, pur riconoscendo la sussistenza di esigenze di carattere
unitario che, nel  caso  di  specie,  legittimavano  l'avocazione  in
sussidiarieta', codesta ecc.ma Corte ha avuto cura di  precisare  che
«[l']attrazione al centro delle funzioni amministrative, mediante  la
"chiamata in sussidiarieta'", benche' sia  giustificata,  secondo  la
consolidata giurisprudenza di questa  Corte,  richiede  tuttavia  che
l'intervento legislativo preveda forme di leale collaborazione con le
regioni (soprattutto sentenza n. 214 del 2006; ma anche  sentenze  n.
425, n. 406, n.  213  del  2006).[...]  La  disciplina  interferisce,
infatti, con  materie  attribuite  alla  competenza  legislativa  sia
concorrente, sia residuale delle regioni, senza che, in contrasto con
i principi sopra  enunciati,  sia  stata  prevista  alcuna  forma  di
collaborazione [...]. Per porre rimedio al vizio delle norme, occorre
recuperare il ruolo delle regioni in termini di coinvolgimento  delle
medesime.  L'incidenza  della  disciplina   stabilita   dalle   norme
impugnate anche in materie riconducibili alla competenza  legislativa
residuale  di  queste  ultime  rende  indispensabile,  per  la   loro
riconduzione nell'ambito della «chiamata in sussidiarieta'» da  parte
dello Stato, l'applicazione del modulo della concertazione necessaria
e paritaria fra organi statali e Conferenza Stato-Regioni dei  poteri
di tipo  normativo  o  programmatorio  riservati  dalle  disposizioni
impugnate esclusivamente ad organi statali» (Considerato  di  diritto
n. 4.4). 
    Alla luce di quanto  espresso  dalla  giurisprudenza  di  codesta
ecc.ma  Corte  costituzionale,  pertanto  si  conferma   la   dedotta
illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate,  che  pur
riguardando competenze di tipo residuale e concorrente non  prevedono
alcuna  Intesa  per  l'emanazione  del  decreto  del  Ministro  delle
politiche agricole alimentari e forestali, bensi' un semplice parere. 
    Cio' quindi in violazione 117, III e IV comma, 118, nonche'  5  e
120 Cost. sul principio di leale collaborazione, il cui  rispetto  si
impone perche' «il  legislatore  statale  deve  predisporre  adeguati
strumenti di  coinvolgimento  delle  regioni,  a  difesa  delle  loro
competenze. L'obiettivo e'  contemperare  le  ragioni  dell'esercizio
unitario   delle   stesse   con   la    garanzia    delle    funzioni
costituzionalmente attribuite alle  autonomie  (sentenze  n.  65  del
2016, n. 88 del 2014 e n. 139 del 2012)» (sent. n. 251 del 2016). 
    In questi termini,  pertanto,  codesta  ecc.ma  Corte  ha  dunque
fissato una serie di punti  fermi  da  rispettare:  «affinche'  (...)
nelle materie di cui  all'art.  117,  terzo  e  quarto  comma,  della
Costituzione,  una  legge  statale  possa  legittimamente  attribuire
funzioni  amministrative  a  livello  centrale  ed  al  tempo  stesso
regolarne l'esercizio, e' necessario che essa  detti  una  disciplina
(...) che sia adottata a  seguito  di  procedure  che  assicurino  la
partecipazione dei livelli di Governo coinvolti attraverso  strumenti
di leale collaborazione o, comunque, attraverso  adeguati  meccanismi
di   cooperazione   per   l'esercizio   concreto    delle    funzioni
amministrative allocate in capo agli organi centrali» (sent.  n.  278
del 2010). 
    Dunque, «solo la presenza di tali presupposti,  alla  stregua  di
uno scrutinio stretto di costituzionalita', consente di  giustificare
la scelta statale dell'esercizio unitario  di  funzioni,  allorquando
emerga l'esigenza di esercizio unitario delle funzioni  medesime  (ex
plurimis, sentenze n. 76 del 2009, n. 339 e n. 88 e del 2007, n.  214
del 2006, n. 242 e n. 151 del 2005)» (sent. n. 232 del 2011). 
    Piu' in particolare, codesta Corte, con  riferimento  alle  norme
legislative statali che incidono su materie di  competenza  regionale
ha ribadito, anche di recente,  che  in  tali  casi  la  legge  «deve
risultare  adottata  a  seguito  di  procedure  che   assicurino   la
partecipazione dei livelli di Governo coinvolti attraverso  strumenti
di leale collaborazione o, comunque,  si  devono  prevedere  adeguati
meccanismi di cooperazione per l'esercizio  concreto  delle  funzioni
amministrative allocate in capo agli organi centrali» (sent. n. 7 del
2016). E, con riferimento a quest'ultimo profilo, ha evidenziato  che
«nella perdurante assenza di  una  trasformazione  delle  istituzioni
parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi ... la
legislazione statale di questo tipo  "puo'  aspirare  a  superare  il
vaglio  di  legittimita'  costituzionale  solo  in  presenza  di  una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,  ovverosia  le
intese, che devono essere condotte in base al principio  di  lealta'"
(sentenza n. 303 del 2003) (sentenza n. 6 del 2004)» (sent. n. 7  del
2016). 
    3. Inoltre, si determina altresi', in assenza della previsione di
una Intesa riguardo al suddetto decreto del Ministro delle  politiche
agricole alimentari e forestali, la violazione dell'art.  119  Cost.,
dal momento che il decreto attenendo  anche  al  riparto  di  risorse
finanziarie  e  intervenendo  in  ambiti   materiali   rimessi   alla
competenza  delle  regioni,  realizza   una   forma   di   intervento
finanziario   non   riconducibile   ad   alcuna    della    modalita'
costituzionalmente consentite dal suddetto art. 119 Cost. 
    Al riguardo, e' opportuno richiamare la sentenza n. 49 del  2004,
con cui codesta ecc.  ma  Corte  e'  intervenuta  a  censurare  fondi
statali istituiti in ambiti e per «finalita'  estranee  a  materie  o
compiti di competenza esclusiva dello Stato,  ma  [che]  sono  invece
riconducibili a materie e ambiti di competenza concorrente (a partire
dal "governo del territorio") o residuale delle regioni». 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 679, 682  e  683,
per violazione degli articoli 3, 32, 81, 97, 117,  III  e  IV  comma,
118, 119 Cost., nonche' 5 e 120 Cost. per violazione del principio di
leale collaborazione. 
    1.  L'art.  1,  comma  682  stabilisce  che:  «Per  il  personale
dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti  pubblici  diversi
dall'amministrazione statale, gli oneri per  i  rinnovi  contrattuali
per  il  triennio   2016-2018,   nonche'   quelli   derivanti   dalla
corresponsione  dei  miglioramenti  economici  al  personale  di  cui
all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165,
sono posti a carico dei rispettivi bilanci  ai  sensi  dell'art.  48,
comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001». 
    Il successivo comma 683 del medesimo  art.  1,  prevede  che  «Le
disposizioni recate dal comma 682 si  applicano  anche  al  personale
convenzionato con il Servizio sanitario nazionale». 
    Quest'ultima  disposizione,  nel  combinato   disposto   con   la
precedente e in considerazione di quanto dispone l'art. 1, comma 679,
si pone in contrasto con gli articoli 3, 32, 81, 97, 117,  III  e  IV
comma, 118, 119, nonche' 5 e 120 della Costituzione, sul principio di
leale collaborazione, dal momento  che,  a  invarianza  del  concorso
dello Stato al finanziamento  del  Fondo  Sanitario  nazionale,  pone
completamente a carico dei bilanci regionali gli incrementi di  spesa
derivanti dal  rinnovo  del  contratto  del  personale  dipendente  e
convenzionato stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale. 
    Il comma 679, infatti, riformula  quanto  previsto  dall'art.  1,
comma 466, della legge  n.  208  del  2015,  che  prevedeva,  per  il
triennio 2016-2018,  in  applicazione  dell'art.  48,  comma  1,  del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165,  e  per  i  miglioramenti
economici del personale dipendente dalle amministrazioni  statali  in
regime di diritto pubblico, oneri posti a carico del bilancio statale
quantificati, complessivamente, in 300 milioni di  euro  a  decorrere
dall'anno 2016. 
    Ora, in base al comma 679 della legge n. 205 del 2017, i medesimi
oneri  a  carico   del   bilancio   statale   sono   complessivamente
rideterminati in 300 milioni di euro per l'anno 2016, in 900  milioni
di euro per l'anno 2017 e  in  2.850  milioni  di  euro  a  decorrere
dall'anno 2018, con quindi un incremento a decorrere dagli anni  2017
e 2018. Tale incremento retributivo, pari al 3,48%  a  decorrere  dal
2018, e' destinato ad essere applicato al comparto  delle  regioni  e
degli enti del servizio sanitario in forza,  fra  l'altro,  dell'art.
48, comma 2, del decreto legislativo n.  165  del  2001,  e  in  base
all'art. 1, comma 469 della legge n. 208  del  2015  un  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del  Ministro  per
la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con  il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  fissera'  i  criteri   di
determinazione dei predetti oneri in coerenza con quanto previsto per
la contrattazione nazionale. La circostanza risulta confermata  dalla
Relazione tecnica al disegno di legge di bilancio dello  Stato  2018,
che in relazione alla norma di riferimento, li' rubricata  come  art.
58, esplicita, che essa ridetermina gli  oneri  complessivi  posti  a
carico del bilancio dello  Stato  per  la  contrattazione  collettiva
relativa al  triennio  2016-2018  in  termini  che  «corrispondono  a
incrementi retributivi per il 2016, il 2017 e a decorrere  dal  2018,
rispettivamente, dello 0,36%, dell'1,09% e del 3,48% del  complessivo
monte salari utile ai fini contrattuali». Precisa, inoltre, dopo aver
evidenziato  che  l'incremento  a  decorrere  dal  2018   corrisponde
all'attribuzione di aumenti medi mensili di 85 euro  lordi,  che  gli
«oneri complessivi  per  il  personale  contrattualizzato  in  regime
privatistico del settore non Stato  sono  determinati  a  carico  dei
predetti bilanci, secondo i criteri sopra  indicati  per  il  settore
Stato» (4) . 
    2. In tal modo si chiarisce: sia i) che la legge di bilancio 2018
ha stabilito un incremento dei costi contrattuali del 3,48%, che  per
le Amministrazioni  centrali  si  e'  tradotto  in  un  significativo
aumento, delle risorse stanziate a regime, come disposto dall'art. 1,
comma  679,  prima  richiamato,  sia  ii)  che  tale  percentuale  di
incremento e' la base per il rinnovo degli altri contratti  pubblici,
ivi compresi quelli della sanita' (art. 1, comma  683),  senza  pero'
che alle amministrazioni regionali sia assegnato alcuno  stanziamento
aggiuntivo.  In  questi  termini  diventano  evidenti  le  violazioni
costituzionali determinate  dalle  norme  impugnate,  in  quanto  pur
stabilendo un incremento del contratto superiore a  quello  previsto,
non dispongono alcun incremento del fabbisogno  del  Fondo  Sanitario
Nazione, dal momento che questo, pur essendo chiamato a finanziare  i
maggiori oneri per il rinnovo del contratto  Sanita',  non  e'  stato
adeguato negli stanziamenti. 
    Nello specifico, infatti, il concorso dello Stato  al  fabbisogno
sanitario, in forza di  quanto  previsto  dalle  diverse  manovre  di
finanza pubblica e in base, da ultimo, al decreto MEF  del  5  giugno
2017, che vi  ha  dato  attuazione  (art.  1  del  suddetto  decreto)
disponendo la riduzione di 423 milioni  di  euro  per  il  2017  e  a
decorrere dal 2018 di 604 milioni di euro, risulta, a  far  data  dal
medesimo decreto, stabilizzato in 113,396 miliardi per il 2018. 
    A  fronte  di  risorse  cosi'  stabilizzate  e  quindi   ritenute
necessarie per il  corretto  funzionamento  del  SSN  e  la  relativa
garanzia dei Lea, le disposizioni impugnate  giungono  a  imporre  un
nuovo e maggiore onere, stimato dal comparto regionale in  circa  700
ml  a  decorrere  dal  2018  (si  veda  il  doc.  n.  3,  pag.2,  con
l'espressione delle osservazioni delle regioni sul disegno  di  legge
di bilancio 2018), derivati dalla fissazione  di  un  incremento  del
contratto  superiore  a   quello   originariamente   previsto,   come
chiaramente emerge dall'atto di indirizzo  del  27  luglio  2017  del
Comitato di settore Comparto regioni - sanita'  (formulato  ai  sensi
dell'art. 41 commi 1 e 2 e dell'art. 47  commi  1  e  2  del  decreto
legislativo n. 165  del  2001,  cosi'  come  modificato  dal  decreto
legislativo n. 75 del 2017) e finalizzato all'avvio  delle  procedure
per il rinnovo contrattuale del personale dei livelli per il triennio
2016-2018, dove la  previsione  dell'incremento  compatibile  con  le
risorse del FSN stabilite per il 2018 veniva fissata nell'1,45% (doc.
n. 4, pag. 22). 
    A tale riguardo, e' altresi' significativa (doc. n. 5) la lettera
inviata dal Presidente del Comitato di  settore  Comparto  regioni  -
sanita' al Ministro dell'economia e delle finanze,  del  23  novembre
2017, dove si esplicita come l'incremento al  3,48%  (dal  precedente
1,45%) sia incompatibile  con  la  capienza  del  Fondo  sanitario  a
legislazione vigente, trattandosi di un nuovo e  maggiore  onere  che
viene posto a  carico  di  quest'ultimo  senza  che  sia  intervenuta
nessuna misura che renda giustificabile la riduzione. 
    Cosi' descritta la fattispecie, diviene  evidente  che  le  norme
impugnate  determinano,  da  piu'   punti   di   vista,   un   vulnus
all'autonomia  costituzionalmente  riconosciuta  alle  regioni,  come
anticipato in apertura. 
    3.  In  primo  luogo,  infatti,  le  norme  appaiono  viziate  da
irragionevolezza e quindi si pongono in violazione del  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3  della  Costituzione:  l'incremento  al
3,48% dei costi contrattuali per  le  Amministrazioni  statali  viene
compensato, dall'art. 1, comma 679 della legge di bilancio 2018 da un
incremento   di   stanziamento   di   risorse   rispetto   a   quanto
originariamente previsto dall'art. 1, comma 466, della legge  n.  208
del 2015; nessun ulteriore stanziamento viene invece previsto per  il
medesimo incremento che ricade  sul  Fondo  sanitario  nazionale.  E'
quindi palese,  nel  raffronto  con  il  tertium  comparationis  dato
dall'art. l, comma 679, che la norma derivante dal combinato disposto
dei successivi commi 682 e 683 determina una rottura  della  coerenza
dell'ordinamento, giungendo a disciplinare in modo diverso situazioni
ragionevolmente uguali. 
    La suddetta violazione  dell'art.  3  Cost.  ridonda  palesemente
sulla  autonomia  costituzionalmente  riconosciuta  alla  regioni  in
materia di assistenza sanitaria e socio sanitaria  loro  riconosciuta
ai sensi degli articoli 117, III e IV, sul  piano  legislativo  e  ai
sensi dell'art. 118, I comma, sul piano amministrativo.  Le  regioni,
infatti,  a  differenza  delle  amministrazioni  statali,   risultano
private del  riconoscimento  delle  ulteriori  risorse  necessarie  a
compensare il maggiore incremento dei costi contrattuali, che  ricade
quindi sul livello del finanziamento  del  FSN  vigente  prima  della
previsione del suddetto  incremento  e  che  gia'  -  costituendo  la
risultante residuale di una ripetuta serie di tagli statali, rispetto
ai quali codesta ecc.ma Corte non e' rimasta  indifferente  (cfr.  da
ultimo la sentenza n. 169 del 2017)  -  non  poteva  certo  definirsi
sovradimensionato. 
    Come, infatti,  emerge  dal  profilo  della  situazione  italiana
tracciato  dall'OCSE  nel  2017   e   riportato   nelle   conclusioni
dell'Indagine conoscitiva della Commissione Sanita' pubblicata il  18
gennaio 2018 (5) , in Italia: «[l]a percentuale di persone con  basso
reddito  che  segnalano  bisogni  insoddisfatti  a  causa  dei  costi
dell'assistenza  sanitaria  e'  particolarmente   elevata,   il   che
suggerisce un grado significativo di disuguaglianza nell'accesso alle
cure. 
    ... I dati Eurostat ... indicano livelli di bisogni insoddisfatti
di gran lunga superiori a quelli di paesi come  Francia,  Germania  e
Regno Unito. 
    In seguito alla ripresa economica degli ultimi  anni,  i  livelli
essenziali  sono  stati  rivisti  e  ampliati  (Lea),  ma   vi   sono
preoccupazioni per la capacita' finanziaria delle regioni di  attuare
tali livelli, che devono essere garantiti a  tutti  i  residenti  nel
paese». 
    Nel paragrafo titolato «Le restrizioni imposte  al  finanziamento
della  sanita'  pubblica:  i  dati  al  2017»  la  relazione   inizia
significativamente con questa espressione: 
        «Allineare progressivamente la spesa italiana in rapporto  al
Pil a quella media europea.» 
    «Questo  l'impegno  richiesto  dal   Parlamento,   in   occasione
dell'approvazione del DEF 2017,  che  il  Governo  aveva  formalmente
accolto impegnandosi a prevedere specifici interventi. Purtroppo,  ad
oggi, nessun intervento e' stato previsto,  neanche  nella  legge  di
Bilancio  per  il  2018,  la  quale  non  solo  non   prevede   alcun
riallineamento  ma  va  esattamente  nella  direzione  opposta.   Con
riguardo al finanziamento cui concorre il Bilancio  dello  Stato,  la
legge di Bilancio fissa per il  2018  il  finanziamento  pari  a  114
miliardi di euro, 1 mld in piu' rispetto  al  2017.  L'aumento  di  1
miliardo non e' peraltro sufficiente a coprire le maggiori spese gia'
imposte alle regioni: il rinnovo dei contratti  e  delle  convenzioni
(stimato circa 1,3 miliardi) cui si aggiunge il taglio di 604 milioni
per coprire il rifiuto delle regioni a statuto speciale a partecipare
al risanamento della finanza pubblica. E cosi' continua  il  processo
di erosione delle risorse messe a disposizione del Ssn. 
    La sequenza di restrizioni imposte al finanziamento del  Ssn  nel
corso degli ultimi anni e' riportato nella tabella seguente. 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    Si noti che per la legge di Bilancio non fissa  il  finanziamento
per l'ultimo anno del triennio di riferimento, il 2020». 
    4. In secondo luogo, a fronte  di  queste  affermazioni,  risulta
evidente che alle regioni non rimane altra possibilita' che  tagliare
i servizi per poter finanziare il rinnovo dei contratti, e in  questi
termini le disposizioni impugnate  si  pongono  in  violazione  anche
dell'art. 32 della  Costituzione,  con  ridondanza  sulle  competenze
regionali in materia di sanita',  non  consentendo  alle  regioni  di
erogare i relativi servizi in termini adeguati. 
    Come detto, la circostanza si auto dimostra considerando  che  lo
stanziamento ritenuto adeguato per il 2108 e' rimasto  invariato,  ma
successivamente e' stato imposto un nuovo onere  (l'incremento  della
spesa per i contratti del  personale  portato  al  3,48%)  senza  che
nessuno stanziamento aggiuntivo sia stato previsto. 
    Delle due l'una, quindi: o i) la spesa precedente era  inadeguata
in eccesso - ipotesi che sarebbe del  tutto  fuori  luogo  formulare,
anche perche' il finanziamento della sanita', in  forza  del  decreto
legislativo n. 68 del 2011 (articoli 27 e ss.) ,  e'  strutturato  in
termini di fabbisogni standard, quindi considerando l'erogazione  dei
Lea gia' in condizione di efficienza ed  appropriatezza  -  o  si  e'
determinato, con le nuove norme, un carico aggiuntivo che compromette
in re ipsa la «spesa costituzionalmente necessaria»  (cosi'  sentenza
n. 169 del 2017) per i servizi sanitari diretti a  garantire  i  Lea,
con violazione quindi anche dell'art. 81, III comma, per mancanza  di
copertura finanziaria. Infatti, se i  maggiori  oneri  devono  essere
coperti dai bilanci degli enti regionali, questi enti sono  costretti
a scegliere fra i) operare un taglio alla corresponsione  dei  Lea  a
favore dell'incremento contrattuale del compatto o ii) non rispettare
l'incremento dell'aumento del contratto previsto per legge. In questi
termini, la dinamica  innestata  dalle  norme  impugnate  contraddice
frontalmente la conclusione della sentenza n. 169 del  2017,  laddove
precisa:  «[n]  consegue  ulteriormente  che,   ferma   restando   la
discrezionalita' politica  del  legislatore  nella  determinazione  -
secondo canoni di ragionevolezza - dei livelli essenziali, una  volta
che questi siano stati correttamente individuati,  non  e'  possibile
limitarne  concretamente  l'erogazione   attraverso   indifferenziate
riduzioni della spesa pubblica. In tale ipotesi verrebbero in  essere
situazioni prive di tutela in tutti i casi di mancata  erogazione  di
prestazioni indefettibili in quanto  l'effettivita'  del  diritto  ad
ottenerle "non puo' che derivare dalla certezza delle  disponibilita'
finanziarie per il soddisfacimento del medesimo diritto" (sentenza n.
275 del 2016)» (enfasi ns.). 
    5. Ma non solo. 
    In terzo luogo, infatti, e' opportuno ricordare quanto affermato,
con cristallina lucidita', da codesta ecc.  ma  Corte  costituzionale
sempre nella sentenza n. 169 del 2017: «la  dialettica  tra  Stato  e
Regioni sul finanziamento dei LEA dovrebbe  consistere  in  un  leale
confronto sui  fabbisogni  e  sui  costi  che  incidono  sulla  spesa
costituzionalmente necessaria, tenendo conto della disciplina e della
dimensione della fiscalita' territoriale  nonche'  dell'intreccio  di
competenze statali e regionali in questo delicato  ambito  materiale.
Cio' al fine di garantire l'effettiva  programmabilita'  e  la  reale
copertura finanziaria dei servizi, la quale - data  la  natura  delle
situazioni da tutelare - deve riguardare non  solo  la  quantita'  ma
anche   la   qualita'   e    la    tempistica    delle    prestazioni
costituzionalmente necessarie». 
    E' del tutto evidente che tale confronto, nel  caso  specifico  -
all'interno di un contesto in cui il tradizionale Patto della Salute,
una volta  scaduto  quello  2014/2016,  non  e'  nemmeno  stato  piu'
rinnovato -  e'  del  tutto  mancato,  con  violazione  quindi  degli
articoli 5 e 120 Cost. sul principio di  leale  collaborazione  e  la
responsabilita' non  e'  certo  imputabile  alle  regioni:  l'aumento
contrattuale,  infatti,  i)  e'  stato  deciso  unilateralmente   dal
Governo, che ii) ne ha pero' poi posto integralmente a carico del FSN
il relativo finanziamento, sempre senza alcuna concertazione. 
    E' utile al riguardo ricordare, peraltro, che gia' nella sentenza
n. 203 del 2008 codesta ecc. ma Corte  aveva  chiaramente  affermato:
«la stessa offerta "minimale" di servizi  sanitari  non  puo'  essere
unilateralmente imposta dallo Stato, ma deve  essere  concordata  per
alcuni aspetti con  le  Regioni,  con  la  conseguenza  che  «sia  le
prestazioni che le regioni sono tenute a garantire in  modo  uniforme
sul  territorio  nazionale,  sia   il   corrispondente   livello   di
finanziamento sono oggetto di concertazione tra lo Stato e le Regioni
stesse»». Nella sentenza n. 192 del  2017,  inoltre,  codesta  ecc.ma
Corte si e' preoccupata di ricordare «che, in  base  al  gia'  citato
art. 26, comma  1,  del  decreto  legislativo  n.  68  del  2011,  il
fabbisogno  sanitario  nazionale  standard  e'  determinato  "tramite
intesa"». 
    Tanto basta a confermare le suddette censure,  data  la  completa
mancanza, senza alcuna responsabilita' imputabile  alle  regioni,  in
relazione alla fattispecie in esame, di quel «ponderato confronto tra
Stato e regioni», per usare l'espressione della sentenza n.  192  del
2017 di codesta ecc.ma Corte  costituzionale:  «[n]ondimeno,  occorre
confermare che la garanzia di servizi effettivi, che corrispondono  a
diritti  costituzionali,  richiede  certezza   delle   disponibilita'
finanziarie, nel quadro dei compositi rapporti tra gli enti coinvolti
(sentenza n. 275 del 2016). Anche la tutela del diritto  alla  salute
non puo' non subire  i  condizionamenti  che  lo  stesso  legislatore
incontra nel  distribuire  le  risorse  finanziarie  disponibili  (da
ultimo, sentenza n. 203 del  2016),  senza  pero'  che  possa  essere
compromessa la garanzia del suo nucleo essenziale. A maggior ragione,
tuttavia, la quantificazione delle risorse in  modo  funzionale  alla
realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente  si
impone,  anche  in  questo  ambito,  come   canone   fondamentale   e
presupposto del buon andamento dell'amministrazione, che deve  sempre
essere rispettato da parte del legislatore (sentenza n. 10 del 2016).
Pertanto, le determinazioni sul fabbisogno sanitario complessivo  non
dovrebbero discostarsi in modo rilevante e  repentino  dai  punti  di
equilibrio trovati in  esito  al  ponderato  confronto  tra  Stato  e
regioni in ordine ai rispettivi rapporti finanziari, senza  che  tale
scostamento appaia giustificabile alla luce di condizioni  e  ragioni
sopraggiunte» (enfasi ns.). 
    E' del tutto evidente che  risulterebbe  certo  riduttivo  e  non
compatibile con la specifica connotazione costituzionale  che  assume
il diritto «fondamentale» alla  salute  (unico  diritto  per  cui  la
Costituzione utilizza questa espressione: «La  Repubblica  tutela  la
salute  come  fondamentale  diritto  dell'individuo»),  limitarsi   a
affermare, in via generica, che il principio di leale  collaborazione
non  si  applica  al  procedimento  legislativo,  tanto  da   rendere
possibile  una  determinazione  completamente  unilaterale  e  quindi
sganciata dalle altrettanto fondamentali  esigenze  di  concertazione
messe in luce dalla  sentenza  n.  169  del  2017  e  ribadite  dalla
sentenza n. 192 del 2017. 
    La specificita' nell'impianto costituzionale italiano del diritto
alla  salute,  infatti,  e'  quella  di  essere   garantito   da   un
finanziamento prevalentemente statale e da  una  concreta  erogazione
dei relativi servizi  rimessa  alla  responsabilita'  delle  regioni,
secondo uno schema che rende indispensabile in tale specifico ambito,
proprio al fine della effettiva garanzia del diritto,  l'adozione  di
procedure concertative. 
    Tanto trova conferma nelle  citate  sentenze  di  codesta  ecc.ma
Corte  costituzionale,  rispetto  alle  quali   deve   essere   anche
considerato il principio affermato nella sentenza n.  251  del  2016:
«[e'] pur vero che questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato  che  il
principio di leale  collaborazione  non  si  impone  al  procedimento
legislativo. La' dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a
riformare istituti che incidono su competenze  statali  e  regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa». 
    6. Infine, e' evidente che il principio (sentt. n. 197 del 2017 e
275 del 2016) della «certezza delle disponibilita' finanziarie per il
soddisfacimento» del  diritto  alla  salute  e'  evidentemente  stato
frustrato dalle disposizioni impugnate,  che  quindi  si  pongono  in
conflitto anche con l'art. 97 della  Costituzione,  determinando  una
evidente ridondanza sulla possibilita' delle  regioni  di  effettuare
una corretta programmazione della spesa sanitaria nella competenza ad
esse costituzionalmente assegnata, con conseguente violazione quindi,
anche diretta, dell'art. 119 della Costituzione,  in  relazione  alla
autonomia di spesa. 
    Risulta, infatti, certamente disatteso l'auspicio formulato nella
stessa sentenza n. 169  del  2017:  «misure  piu'  calibrate  e  piu'
stabili  di  quelle  fino  ad  oggi  assunte  sono   utili   per   la
riqualificazione di un servizio  fondamentale  per  la  collettivita'
come  quello  sanitario.   Questa   Corte   ha   affermato   che   la
programmazione e la proporzionalita' tra risorse assegnate e funzioni
esercitate  sono  intrinseche  componenti  del  "principio  del  buon
andamento  [il  quale]  -  ancor  piu'  alla  luce   della   modifica
intervenuta con l'introduzione del nuovo  primo  comma  dell'art.  97
Cost. ad opera della  legge  costituzionale  20  aprile  2012,  n.  1
(Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale) - e' strettamente correlato alla coerenza della legge
finanziaria", per cui "organizzare  e  qualificare  la  gestione  dei
servizi a rilevanza sociale da rendere alle  popolazioni  interessate
[...] in modo funzionale e  proporzionato  alla  realizzazione  degli
obiettivi previsti dalla legislazione  vigente  diventa  fondamentale
canone e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, cui  lo
stesso legislatore si deve attenere puntualmente" (sentenza n. 10 del
2016)». 
    Ne' peraltro, dato l'art. 1, comma 37  della  medesima  legge  di
bilancio 2018, che sospende anche per il 2018 gli aumenti di  tributi
regionali, e' possibile  per  le  regioni  eventualmente  tentare  di
compensare con questi ultimi la maggiore spesa. 
    Tanto basta, in conclusione, a confermare pienamente  le  censure
esposte. 
    La Regione Veneto, in ogni caso,  si  riserva  di  documentare  a
consuntivo il danno subito per effetto delle norme impugnate, che  in
realta', come visto, e' ravvisabile in  re  ipsa  nella  fattispecie,
dalle disposizione impugnate. 
6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   778,   per
violazione  degli  articoli  3,  5,  117,   II   comma,   119   della
Costituzione,  nonche'  5  e  120  Cost.  sul  principio   di   leale
collaborazione. 
    1. L'art. l, comma 778, stabilisce che: «Nelle more del  riordino
del sistema della fiscalita' locale, al decreto legislativo 6  maggio
2011, n. 68, sono apportate le seguenti modificazioni: 
    a) all'art. 2, comma 1, la parola: "2019",  ovunque  ricorre,  e'
sostituita dalla seguente: "2020" 
    b) all'art. 4: 
    1) al comma 2, le parole: "Per gli anni dal 2011  al  2018"  sono
sostituite dalle seguenti: "Per gli anni  dal  2011  al  2019"  e  le
parole: "A decorrere dall'anno 2019" sono sostituite dalle  seguenti:
"A decorrere dall'anno 2020"; 
    2) al comma 3, le  parole:  "A  decorrere  dall'anno  2019"  sono
sostituite dalle seguenti: "A decorrere dall'anno 2020"; 
        c) all'art. 7: 
    1) al comma 1, le  parole:  "A  decorrere  dall'anno  2019"  sono
sostituite dalle seguenti: "A decorrere dall'anno 2020"; 
    2) al comma  2,  le  parole:  "entro  il  31  luglio  2018"  sono
sostituite dalle seguenti: "entro il 31 luglio 2019"; 
        d) all'art. 15, commi 1 e 5, la parola: "2019" e'  sostituita
dalla seguente: "2020".» 
    In questi termini la disposizione  impugnata  dispone  l'ennesimo
rinvio, dal 2019 al 2020, dell'entrata in vigore dei nuovi meccanismi
di finanziamento  delle  funzioni  regionali  stabiliti  dal  decreto
legislativo n. 68 del 2011, emanato in attuazione  della  delega  sul
federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009. 
    Nello specifico la norma impugnata interviene sugli  articoli  2,
4, 7 e 15 del suddetto decreto legislativo  relativi  rispettivamente
alle nuove modalita'  di  determinazione  dell'addizionale  regionale
Irpef, alla nuova configurazione della compartecipazione  Iva  basata
sulla  territorialita'   della   riscossione   del   gettito,   sulla
soppressione di talune categorie di trasferimenti statali e,  infine,
all'istituzione  di  un  fondo  perequativo  alimentato  dal  gettito
prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata  in
modo tale da garantire in ogni  regione  il  finanziamento  integrale
delle spese Lep. 
    Essa stabilisce, infatti: 
    1) rispetto all'art. 2 che la  rideterminazione  dell'addizionale
regionale Irpef sulla base di nuovi  criteri  stabiliti  dall'art.  2
medesimo  decorra  dal  2020,  anziche'  che  dal  2019,  e  che   la
contestuale riduzione delle  aliquote  Irpef  di  competenza  statale
(tale  da  mantenere  inalterato   il   prelievo   fiscale   per   il
contribuente) operi dal medesimo anno di imposta 2020; 
    2) rispetto all'art. 4 che le vigenti modalita' di determinazione
della compartecipazione regionale al gettito IVA operino fino al 2019
(invece   che   fino   al   2018)   e   che,   conseguentemente,   la
compartecipazione sulla base del nuovo  criterio  di  territorialita'
decorra dal 2020; 
    3) rispetto all'art. 7  che  la  soppressione  dei  trasferimenti
statali indicati dall'articolo - vale a dire quelli aventi  carattere
di generalita' e permanenza destinati all'esercizio delle  competenze
regionali  -  decorra  dal  2020  invece  che   dal   2019,   e   che
conseguentemente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
per l'individuazione dei  trasferimenti  medesimi  debba  intervenire
entro il 31 luglio 2019, invece che entro il 31 luglio 2018; 
    4) rispetto all'art. 15, che le fonti di  finanziamento  da  esso
previsti per le spese regionali destinate ai livelli essenziali delle
prestazioni (Lep) operino non piu' dal 2019 ma dal 2020,  con  eguale
rinvio a tale anno dell'istituzione del Fondo perequativo previsto al
comma  5  del  medesimo  articolo  per  garantire  il   finanziamento
integrale dei Lep medesimi. 
    2. In questi termini, come  detto,  la  norma  impugnata  dispone
l'ennesimo rinvio consecutivo, replicando analoghe norme che sin  dal
decreto-legge n. 201  del  2011  hanno  iniziato  ad  incidere  sulla
cadenza temporale originariamente prevista dal decreto legislativo n.
68 del 2011. Nello specifico, infatti, la  previsione  relativa  alla
fiscalizzazione  dei  trasferimenti   «trasferimenti   statali   alle
regioni, aventi carattere di generalita' e  permanenza,  relativi  al
trasporto pubblico locale», che sarebbe dovuta intervenire a  partire
dal 2012, venne rinviata al 2013 dall'art. 30, comma  3,  lettera  c)
del suddetto decreto-legge: ad oggi, tuttavia, non  e'  ancora  stata
realizzata. 
    Sorte analoga e' toccata  anche  alle  altre  scadenze  temporali
previste dal decreto legislativo n. 68 del 2011,  che  identificavano
nell'anno 2013 l'avvio a regime dell'impianto  del  suddetto  decreto
legislativo, che sono state rinviate attraverso la ripetizione di una
norma sostanzialmente analoga: a partire dall'art. 9,  comma  9,  del
decreto-legge n. 78 del  2015  (rinvio  al  2017),  infatti,  facendo
sempre riferimento alla medesima ragione («[n]elle more del  riordino
del  sistema  della  fiscalita'  locale»),  la  proroga  dei  termini
stabiliti nell'anno 2013 dal decreto legislativo n. 68 del  2011,  e'
stata ulteriormente riproposta nel decreto-legge  n.  113  del  2016,
art. 13, (rinvio al 2018), quindi nel decreto-legge n. 50  del  2017,
con l'art. 24, comma  2-bis  (rinvio  al  2019)  e  da  ultimo  nella
disposizione impugnata (rinvio al 2020). 
    In questi termini,  la  norma  impugnata  costituisce  l'ennesima
proroga, ora al 2020, dei termini stabiliti dal  decreto  legislativo
n. 68 del 2011 nell'anno 2013, in ordine rispettivamente: 
    1) alla rideterminazione dell'aliquota standard  dell'addizionale
regionale all'Irpef: si tratta  della  rideterminazione  che  sarebbe
dovuta conseguire alla fiscalizzazione dei trasferimenti statali alle
regioni, aventi carattere di generalita' e permanenza. A seguito  del
venir meno  di  tali  trasferimenti,  infatti,  il  bilancio  statale
sarebbe stato sgravato di una voce di  spesa  e  conseguentemente  si
sarebbero potute ridurre le aliquote dell'Irpef nazionale e aumentare
di pari livello quella base dell'addizionale regionale all'Irpef; 
    2)  all'applicazione  del  principio  di   territorialita'   alla
compartecipazione regionale all'Iva, in  sostituzione  delle  attuali
modalita' di computo della compartecipazione  che  prescindono  dalla
quota di imposta riscossa sul territorio; 
    3) alla soppressione dei trasferimenti statali  aventi  carattere
di generalita' e permanenza destinati all'esercizio delle  competenze
regionali; 
    4) all'attuazione  di  una  distinzione  tra  la  spesa  -  e  le
conseguenti  modalita'  di  finanziamento  -  regionale  relativa  ai
livelli essenziali e quella non relativa ai livelli essenziali  -  e,
anche in questo caso, alle conseguenti forme di finanziamento. 
    In questi termini si e' in presenza  di  un  rinvio  statale  che
ormai si e' protratto per sette anni (dal 2013 al 2020),  in  assenza
di una valida ragione che lo possa giustificare, al punto da  indurre
a ritenere che tale ulteriore proroga sia destinata a prostrarsi sine
die, dimostrando una  chiara  volonta'  statale  di  determinare  una
situazione   di   permanente   inattuazione   dell'art.   119   della
Costituzione in relazione alla autonomia finanziaria delle regioni. 
    Questo nonostante i numerosi  moniti  che  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale ha rivolto, dopo  il  2001,  allo  stesso  legislatore
statale  richiamandolo  invece   alla   attuazione   della   suddetta
disposizione costituzionale, basti ricordare da ultimo la sentenza n.
188 del 2016: «puo' dunque dirsi che il legislatore statale,  durante
l'ampio percorso di attuazione della riforma fiscale  previsto  dalla
legge n. 42 del 2009, abbia prima fissato  regole  costituzionalmente
corrette afferenti ai meccanismi  di  funzionamento  delle  relazioni
finanziarie tra lo Stato  e  le  autonomie  territoriali  in  materia
tributaria ma, successivamente, abbia determinato un quadro opaco  ed
autoreferenziale per quel che concerne le dinamiche  applicative  del
riparto del gettito». 
    Gia' fin dall'anno 2003, con  la  sentenza  n.  370/2003  codesta
ecc.ma Corte costituzionale aveva, infatti, affermato  con  chiarezza
che: «la attuazione dell'art. 119  Cost.  [e']  urgente  al  fine  di
concretizzare davvero  quanto  previsto  nel  nuovo  Titolo  V  della
Costituzione, poiche' altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso
riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni». 
    In numerose altre occasioni tale monito e'  stato  rinnovato:  la
sentenza n. 222 del 2005, prendendo atto della «perdurante situazione
di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali  in  tema  di
garanzia dell'autonomia finanziaria  di  entrata  e  di  spesa  delle
regioni e degli enti locali»  ha  giustificato  il  Fondo  statale  a
finanziamento del trasporto pubblico  locale,  pur  riconoscendo  che
tale Fondo non era riconducibile al il  quinto  comma  dell'art.  119
Cost. «non essendo  predeterminato  alcun  intervento  speciale,  ne'
individuato  alcun  particolare  ente  destinatario».  Non  ha  pero'
mancato di rilevare che: «[q]uesta Corte ha  ripetutamente  affermato
che il legislatore statale non puo' porsi "in contrasto con i criteri
e  i  limiti  che  presiedono  all'attuale   sistema   di   autonomia
finanziaria  regionale,  delineato   dal   nuovo   art.   119   della
Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalita'
non riconducibili a funzioni di spettanza statale" (sentenza  n.  423
del 2004): nell'ambito del nuovo Titolo V della Costituzione  non  e'
quindi di norma consentito allo Stato prevedere propri  finanziamenti
in ambiti di competenza delle regioni (cfr. sentenze numeri 160 e  77
del 2005, 320 e 49 del  2004),  ne'  istituire  fondi  settoriali  di
finanziamento delle attivita' regionali (cfr. sentenze n. 16 del 2004
e n. 370 del 2003)». 
    Otto  anni  dopo  quest'ultima  sentenza,  sempre  in   tema   di
finanziamento del trasporto pubblico locale, la sentenza n.  273  del
2013 e' tornata  a  prendere  atto  della  situazione  di  perdurante
inattuazione dell'art. 119, nonostante fossero gia' entrati in vigore
la legge n. 42 del 2009, Delega al Governo in materia di  federalismo
fiscale,   in   attuazione   dell'art.   119   della    Costituzione,
«dichiaratamente rivolta all'attuazione dell'art.  119  Cost.»  e  il
decreto legislativo n. 68  del  2011  in  relazione  «alle  rinnovate
modalita'   di   trasferimento   alla   fiscalita'   regionale    del
finanziamento del trasporto pubblico locale (art. 7, comma 1, lettera
e, della legge n. 42 del 2009; articoli 2, commi 2 e 3, e 7, comma 1,
del decreto legislativo n. 68 del 2011)». 
    Nello specifico, la sentenza prendeva  atto  che  «non  e'  stato
ancora emanato il decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri
cui l'art. 13, comma 4,  del  decreto  legislativo  n.  68  del  2011
demanda la ricognizione  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
nelle  materie  dell'assistenza,  dell'istruzione  e  del   trasporto
pubblico locale, nonche' dei livelli  adeguati  del  servizio,  anche
nella materia da ultimo richiamata, previsti  all'art.  8,  comma  1,
lettera c), della citata legge n. 42 del 2009. L'intero  processo  di
individuazione dei livelli essenziali delle  prestazioni  in  materia
che le regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e  dei
relativi costi, nonche' degli obiettivi di servizio, sulla base della
determinazione dei costi e fabbisogni standard, e' poi  rimesso,  dal
successivo comma 6 dello stesso art. 13 del decreto legislativo n. 68
del 2011, alla Societa' per gli studi di settore -  SOSE  s.p.a.,  in
collaborazione con l'ISTAT e avvalendosi della Struttura  tecnica  di
supporto alla Conferenza delle  regioni  e  delle  province  autonome
presso il Centro interregionale di studi e  documentazione  (CINSEDO)
delle  regioni,  secondo  la  metodologia  e   il   procedimento   di
determinazione di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo  26
novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard di  Comuni,  Citta'  metropolitane  e
Province)». 
    Correva  quindi  l'anno  2013  quando  la   sentenza   concludeva
evidenziando «il mancato completamento della transizione ai  costi  e
fabbisogni  standard,  funzionale  ad  assicurare  gli  obiettivi  di
servizio e il sistema di perequazione,  non  consente,  a  tutt'oggi,
l'integrale  applicazione  degli  strumenti  di  finanziamento  delle
funzioni regionali previsti dall'art. 119 Cost.»,  e  quindi  dovendo
constatare «la perdurante inattuazione di quanto previsto in  materia
dalla  legge  n.  42  del  2009,  che  non   puo'   non   riflettersi
sull'attuazione dell'art.  119  Cost.,  la  quale,  quantomeno  sotto
questo profilo, puo' dirsi ancora incompiuta». 
    3. Con la norma ora impugnata  il  legislatore  statale  pretende
quindi,  del  tutto  impunemente  dal  punto  di  vista  del  diritto
costituzionale, a distanza di sette  anni  da  quella  pronuncia,  di
rinviare al 2020 l'attuazione di un sistema normativo gia' in  vigore
dal 2011 e che e' funzionale a dare  attuazione  all'art.  119  della
Costituzione. 
    Come ha  anche  rilevato  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,
infatti, la legge delega n.  42  del  2009  si  e'  qualificata  come
attuativa  dell'art.  119  della  Costituzione  e   nello   specifico
dell'autonomia finanziaria regionale la delega e' stata tradotta  nel
decreto legislativo n. 68 del 2011. 
    Le  disposizioni  di  cui   alla   norma   impugnata,   pertanto,
rappresentano l'ennesima proroga e mirano a differire al 2020, quindi
a oltre sette anni dalla scadenza originariamente prevista nel  2011,
l'attuazione  dell'art.  119  Cost.,   senza   che   sussista   alcun
ragionevole motivo; la formula ripetuta da anni nei provvedimenti  di
rinvio «nelle more del riordino del sistema della fiscalita'  locale»
e' ormai infatti un puro espediente retorico che non  corrisponde  ad
alcuna ragione sostanziale: esse pertanto si  pongono  in  violazione
degli articoli  119  Cost.,  perche'  l'autonomia  finanziaria  delle
regioni e' compromessa dall'inattuazione dei principi ivi  stabiliti,
dell'art. 5 Cost., perche' e' compito della  Repubblica  adeguare  la
propria legislazione alle esigenze della autonomia e nello  specifico
avviene invece il contrario, dell'art.  3  perche'  il  rinvio  ormai
ripetuto  dal  2011  non  corrisponde  ad  alcuna  effettiva  riforma
intervenuta   nell'ambito   della   finanza   regionale   che   possa
effettivamente giustificarlo: la ridondanza sull'autonomia  regionale
di  tale  violazione  e'  peraltro  evidente,  dal  momento  che   il
procrastinato mantenimento di un sistema di  finanza  sostanzialmente
derivata compromette la possibilita' di un esercizio  efficace  delle
funzioni costituzionalmente assegnate alle regioni, come del resto ha
in piu' occasioni, rilevato codesta ecc.ma Corte costituzionale. 
    Tale  violazione  si  realizza  in  quanto  le  norme  della  cui
attuazione si dispone l'ulteriore  differimento  costituiscono,  come
detto, la concretizzazione  dei  principi  affermasti  nell'art.  119
Cost. 
    Infatti, nello specifico i differimenti al 2020 riguardano: 
        a) la norma  di  cui  al  punto  1  sopracitato  (§  1),  che
determinando la rimodulazione delle  aliquote  dell'irpef  statale  e
della relativa addizionale regionale costituisce la  conseguenza  sul
piano delle entrate della fiscalizzazione, sul  piano  delle  uscite,
dei fondi settoriali di finanziamento delle attivita'  regionali,  di
cui  la  stessa  giurisprudenza  costituzionale   prima   citata   ha
chiaramente affermato l'incompatibilita' con l'art. 119  Cost.,  (che
li ammette solo nelle forme e nei  modi  del  V  comma  del  medesimo
articolo); il rinvio si pone pertanto in  violazione  della  suddetta
disposizione; 
    b) la norma di cui al p.to 2 sopracitato (§ 1) che e'  funzionale
a rendere la compartecipazione al tributo erariale  (ovvero  all'Iva)
conforme al principio di territorialita' affermato nell'art. 119,  II
comma; il rinvio  si  pone  pertanto  in  violazione  della  suddetta
disposizione; 
    c) la norma di cui al p.to 3 sopracitato (§ 1)  che  impone  -  e
determina la conseguenza di cui al p.to 1 - la soppressione dei fondi
settoriali  di  finanziamento  delle  attivita'  regionali  non  piu'
consentiti dall'art.  119  Cost.;  il  rinvio  si  pone  pertanto  in
violazione della suddetta disposizione; 
    d) la norma di cui al p.to  4  sopracitato  (§  1)  che  mette  a
regime, in conformita' al combinato disposto  degli  articoli  119  e
117, II, comma, lettera m) il sistema di finanziamento  e  quello  di
perequazione regionali, allineandoli ai principi  costituzionali,  il
rinvio si pone pertanto in violazione dei suddetti principi. 
    4. Riguardo a quest'ultimo punto 4, non e' inutile  ricordare  la
recente sentenza n. 169 del 2017, che con estrema lucidita' ha  messo
in evidenza come dall'art. 8, comma 1, della legge n.  42  del  2009,
poi tradotto appunto  nelle  disposizioni  di  cui  all'art.  15  del
decreto legislativo n. 68/2011, la cui attuazione viene  appunto  ora
rinviata dalla norma impugnata al 2020, disponga che:  «a)  le  spese
per i LEA devono essere quantificate attraverso l'"associazione"  tra
i costi standard e  gli  stessi  livelli  stabiliti  dal  legislatore
statale in modo da determinare, su scala  nazionale  e  regionale,  i
fabbisogni standard costituzionalmente vincolati ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera m), Cost.;  b)  tali  l'abbisogni  devono
essere individuati dallo Stato attraverso la  "piena  collaborazione"
con gli enti territoriali; c)  l'erogazione  delle  prestazioni  deve
essere caratterizzata da efficienza ed  appropriatezza  su  tutto  il
territorio nazionale». 
    Da qui  la  necessaria  conclusione:  «in  definitiva,  non  puo'
sottacersi, nella perdurante inattuazione della legge n. 42 del  2009
gia'  lamentata  da  questa  Corte  (sentenza  n.  273   del   2013),
l'esistenza di una situazione di difficolta' che non consente tuttora
l'integrale  applicazione  degli  strumenti  di  finanziamento  delle
funzioni regionali previste dall'art. 119 Cost.». 
    E'  una  conclusione  certamente  «pesante»,  perche'  arriva   a
denunciare,   in   relazione   alla   spesa   sanitaria,    l'assenza
nell'ordinamento italiano di una «doverosa separazione del fabbisogno
LEA dagli oneri degli altri servizi sanitari»,  che  la  sentenza  si
spinge fino a rilevare che «sotto tale  profilo  neppure  la  recente
adozione del decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  12
gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli  essenziali  di
assistenza, di cui all'art. 1, comma 7, del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502) e' di per se' in grado  di  supplire  a  detta
carenza». 
    Di qui l'ulteriore  considerazione,  che  suona  come  un  deciso
monito: «la persistenza di tale situazione puo' causare la violazione
degli articoli 32 e 117, secondo comma, lettera m), Cost.,  nei  casi
in cui eventuali disposizioni di  legge  trasferiscano  "a  cascata",
attraverso i diversi livelli di  governo  territoriale,  gli  effetti
delle   riduzioni    finanziarie    sulle    prestazioni    sanitarie
costituzionalmente necessarie (in  tal  senso  sentenza  n.  275  del
2016)». 
    Peraltro, nelle conclusioni la sentenza n. 169 del 2017,  codesta
ecc.ma Corte costituzionale si e' rivolta sia al legislatore  statale
che a quello regionale, promuovendo  una  indovinata  concezione  del
riparto    delle    competenze,    fondata    sull'incontro     delle
responsabilita',  anziche'  sullo   scontro   tra   istituzioni.   In
quest'ottica, infatti, la sentenza  rilancia  la  necessita'  di  una
«fisiologica dialettica» tra Stato e regioni «improntata  alla  leale
collaborazione che, nel caso di  specie,  si  colora  della  doverosa
cooperazione per assicurare il migliore servizio alla collettivita'».
Viene  quindi  indicata  una  via  collaborativa  per  «separare   il
fabbisogno finanziario destinato a  spese  incomprimibili  da  quello
afferente ad altri servizi sanitari suscettibili di  un  giudizio  in
termini di sostenibilita' finanziaria». Questo, precisa la  sentenza,
deve «essere simmetricamente attuato, oltre che  nel  bilancio  dello
Stato, anche  nei  bilanci  regionali  ed  in  quelli  delle  aziende
erogatrici secondo la direttiva contenuta nel citato art. 8, comma 1,
della legge n. 42 del 2009 ... Cio' al fine di garantire  l'effettiva
programmabilita' e la reale copertura  finanziaria  dei  servizi,  la
quale - data la natura delle situazioni da tutelare - deve riguardare
non solo la quantita' ma anche la  qualita'  e  la  tempistica  delle
prestazioni costituzionalmente necessarie». 
    E' quindi del tutto evidente che con il rinvio al  2020  disposto
dalle  norme  impugnate  il  legislatore  contraddice  l'invito  alla
collaborazione auspicato dalla sentenza e si pone in violazione, come
detto del combinato disposto degli articoli 117, II comma e  119  sui
Lea, nonche' del  principio  di  leale  collaborazione  di  cui  agli
articoli 5 e 120 Cost.: le regioni, infatti, avevano  richiesto,  nel
parere fornito sulla legge di bilancio 2018,  che  venisse  soppresso
questo ennesimo rinvio (doc. n. 6). 
    Tale ennesimo rinvio addirittura al 2020,  manifesta  infatti  la
chiara  volonta'  statale  di  non  addivenire  mai   alla   concreta
attuazione   dei   principi   dell'art.   119   Cost.    e    risulta
contraddittorio, e quindi irragionevole ai  sensi  del  gia'  evocato
art. 3 della Cost., anche rispetto alla previsione, inserita in  sede
di conversione su richiesta delle regioni, di  cui  all'art.  24  del
decreto-legge n. 50 del 2017, dove si stabilisce l'avvio del processo
di determinazione dei fabbisogni standard e delle  capacita'  fiscali
standard delle regioni a statuto ordinario, finalmente in  attuazione
dell'art. 13 del decreto legislativo n. 68  del  2011  (dopo  che  il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ivi previsto non e'
mai stato emanato). 
    I tempi per la determinazione dei fabbisogni  standard  e  quindi
dell'avvio dell'attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011 non
richiedono certo un rinvio temporale di  tale  entita':  se  pertanto
questa ecc.ma Corte costituzionale riterra' di  non  intervenire  sul
problema,  con  tutta  probabilita',   il   destino   dell'attuazione
dell'art.  119  Cost.  sara'  quello  di  rimanere   incastrato   nel
riproporsi del continuo differimento dei termini di attuazione,  come
del resto  sta  avvenendo  ormai  da  troppi  anni,  con  quindi  una
sostanziale e permanente  inattuazione  dei  principi  costituzionali
posti a presidio dell'autonomia  finanziaria  regionale  -  e  quindi
dell'efficace esercizio delle funzioni regionali. 
7)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  1072,   per
violazione degli articoli 117, III  e  IV  comma,  118  e  119  della
Costituzione, nonche' 5 e 120 sul principio di leale collaborazione. 
    1. L'art. 1 comma 1072, rifinanzia il Fondo per il  finanziamento
degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del  Paese,  (d'ora
innanzi «il Fondo») istituito dall'art. 1, comma 140, della legge  di
bilancio 2017 (gia' impugnato dalla Regione  Veneto  con  il  ricorso
reg. r. n. 19 del 2017). 
    Il rifinanziamento viene disposto per 800  milioni  di  euro  per
l'anno 2018, per 1.615 milioni di euro per  l'anno  2019,  per  2.180
milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023,  per  2.480
milioni di euro per l'anno 2024 e  per  2.500  milioni  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2025 al 2033. 
    La medesima disposizione elenca gli specifici  settori  di  spesa
tra cui ripartire le risorse oggetto di rifinanziamento: 
    a) trasporti e viabilita'; 
    b) mobilita' sostenibile e sicurezza stradale; 
    c) infrastrutture, anche relative alla rete idrica e  alle  opere
di collettamento, fognatura e depurazione; 
    d) ricerca; 
    e)  difesa  del  suolo,   dissesto   idrogeologico,   risanamento
ambientale e bonifiche; 
    f) edilizia pubblica, compresa quella scolastica e sanitaria; 
    g) attivita' industriali  ad  alta  tecnologia  e  sostegno  alle
esportazioni; 
    h) digitalizzazione delle amministrazioni statali; 
    i) prevenzione del rischio sismico; 
    l) investimenti in  riqualificazione  urbana  e  sicurezza  delle
periferie; 
    m) potenziamento infrastrutture e mezzi per l'ordine pubblico, la
sicurezza e il soccorso; 
    n) eliminazione delle barriere architettoniche. 
    Inoltre, la stessa disposizione mantiene ferma, in relazione alla
procedura di ripartizione delle risorse, quanto previsto dal secondo,
terzo e quarto periodo del ricordato art. 1, comma 140,  ovvero,  per
quanto  qui  interessa,  che  per  i   programmi   presentati   dalle
amministrazioni centrali dello Stato  si  procede  al  riparto  delle
risorse tramite uno o piu' decreti del Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  sottoposti  al  parere  parlamentare,   ma   senza   alcun
coinvolgimento delle regioni. Si precisa poi che i  suddetti  decreti
sono da adottare, ai sensi dell'art. 17 della legge 23  agosto  1988,
n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della
medesima legge di bilancio 2017. 
    Rispetto all'elenco originario, contenuto nell'art. 1, comma 140,
della legge di bilancio 2017 dei settori  di  spesa,  in  quello  ora
rifinanziato  non  risulta  piu'  nominata  la  «riqualificazione   e
accessibilita'  delle  stazioni  ferroviarie»,   l'«informatizzazione
dell'amministrazione giudiziaria» viene ampliata in «digitalizzazione
delle amministrazioni statali» e  al  settore  «investimenti  per  la
riqualificazione urbana e per  la  sicurezza  delle  periferie  delle
citta' metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia»  si  toglie
la specificazione relativa  alle  citta'  metropolitane  e  i  comuni
capoluogo, per ricomprendere  tutte  le  periferie.  Infine,  risulta
introdotto il nuovo settore di spesa «potenziamento infrastrutture  e
mezzi per l'ordine pubblico, la sicurezza e il soccorso». 
    2. In questi termini il Fondo e' destinato a finanziare programmi
presentati  dalle  amministrazioni  centrali  dello  Stato,  ma   che
intervengono  anche  in  settori  che   investono   direttamente   le
competenze concorrenti delle regioni, senza pero'  che  sia  previsto
alcun coinvolgimento delle  regioni  nell'adozione  dei  decreti  del
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  relativi  all'utilizzo  del
suddetto fondo, all'individuazione degli  interventi  da  finanziare,
alla definizione dei relativi importi e alle  modalita'  di  utilizzo
dei contributi. 
    In  particolare,  gli  interventi   finanziabili   incidono   e/o
interferiscono - salvo quelli inerenti alla  «digitalizzazione  delle
amministrazioni   statali»   (lettera   h)   e   al    «potenziamento
infrastrutture e mezzi per  l'ordine  pubblico,  la  sicurezza  e  il
soccorso»  (lettera  m)  -  su  materie  sicuramente  di   competenza
concorrente come la «ricerca scientifica e tecnologica», «grandi reti
di trasporto e di navigazione», «governo del territorio», «protezione
civile», «edilizia scolastica»,  se  non  addirittura  di  competenza
residuale regionale come il trasporto pubblico locale. 
    Questo vale  per  l'ambito  materiale  di  cui  alle  lettere  a)
(trasporti, viabilita')  e  b)  (mobilita'  sostenibile  e  sicurezza
stradale)  che  ineriscono  quanto  meno  alle  competenze  regionali
relative al trasporto pubblico locale e  alla  mobilita'  sostenibile
riconosciute come tali dalla giurisprudenza di codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale: si vedano rispettivamente  la  sentenza  n.  211  del
2016, dove si ribadisce che il trasposto pubblico locale  «attiene  a
materia sicuramente rientrante, come piu' volte  ribadito  da  questa
Corte,  nell'ambito  delle  competenze  regionali  residuali»  e   la
sentenza n. 142 del 2008, dove si afferma che siccome il Fondo per la
mobilita' sostenibile di cui art. 1, comma 1121, della legge  n.  296
del 2006 «produce effetti  anche  sull'esercizio  delle  attribuzioni
regionali in materia di trasporto pubblico locale affinche'  esso  si
svolga nei limiti  della  sostenibilita'  ambientale,  si  giustifica
l'applicazione del principio di leale  collaborazione».  La  medesima
considerazione vale per l'ambito materiale di cui alla lettera f) (in
relazione alla edilizia scolastica e a  quella  sanitaria),  che  per
esplicito  riconoscimento  di  codesta  ecc.ma   Corte,   «si   trova
all'incrocio di piu' ambiti  competenziali,  quali  il  "governo  del
territorio", "l'energia" e la "protezione civile",  tutti  rientranti
nella  potesta'  legislativa  concorrente  di  cui  al  terzo   comma
dell'art. 117 Cost.» (sent. n. 62 del 2013, ma si veda anche la  piu'
recente sentenza n. 284 del 2016). 
    Lo stesso vale per l'ambito materiale  di  cui  alla  lettera  e)
(quanto alla difesa del suolo e dissesto idrogeologico) e di cui alla
lettera i) (prevenzione del rischio sismico),  nonche'  di  cui  alla
lettera l) (investimenti in riqualificazione urbana e sicurezza delle
periferie) rispetto ai quali occorre ricordare la sentenza n. 189 del
2015, dove si precisa che si tratta di ambiti «di competenza  statale
e  regionale  (fra  cui  la  tutela  dell'ambiente,  il  governo  del
territorio, la protezione civile, l'ordinamento della  comunicazione,
la tutela della salute), ma essenzialmente riconducibili a lavori  di
manutenzione straordinaria e  messa  in  sicurezza  del  territorio»,
nonche' gia' la sentenza n. 101 del 2013. 
    Inoltre, anche altri ambiti materiali, quali quello della lettera
c)  (infrastrutture  relative  alla  rete  idrica  e  alle  opere  di
collettamento, fognatura e depurazione), nonche' quello della lettera
d) (ricerca) coinvolgono competenze regionali concorrenti,  quali  la
«ricerca scientifica e tecnologica», le «grandi reti di  trasporto  e
di navigazione», il «governo del territorio», la «protezione civile». 
    In tutti i menzionati ambiti in cui e'  destinato  a  intervenire
l'istituito Fondo e' quindi ravvisabile perlomeno un intreccio e  una
concorrenza  di  competenze  statali  e  regionali,  senza  che   sia
possibile, alla luce della appena citata  giurisprudenza  di  codesta
ecc.ma  Corte  costituzionale,   identificare   una   prevalenza   di
competenze statali. 
    E' evidente quindi che l'intervento normativo statale  struttura,
abilitando  le  amministrazioni  centrali  a  presentare  i  relativi
progetti, un'avocazione in sussidiarieta' di  attribuzioni  spettanti
alle regioni, in quanto connesse a materie  rimesse  alla  competenza
concorrente e addirittura residuale delle regioni. 
    Tuttavia, tale intervento normativo  disattende  completamente  i
presupposti  che  soli,  secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale, rendono  legittima  la  suddetta
chiamata in sussidiarieta' (cfr. sent. n. 92 del 2011). 
    La fattispecie in oggetto, ricalca, infatti, sotto  alcuni  punti
di vista, quella decisa con la sentenza n. 303 del 2003, dove codesta
ecc.ma  Corte  ha   precisato:   «[p]redisporre   un   programma   di
infrastrutture pubbliche e private e di  insediamenti  produttivi  e'
attivita' che non mette capo ad  attribuzioni  legislative  esclusive
dello Stato, ma  che  puo'  coinvolgere  anche  potesta'  legislative
concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti,  grandi  reti
di  trasporto,  distribuzione  nazionale  dell'energia,  etc.).   Per
giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia  invasiva
delle attribuzioni regionali o non  costituisca  invece  applicazione
dei  principi  di  sussidiarieta'  e  adeguatezza  diviene   elemento
valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo  Stato  e  le
regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita'  della
disciplina. Nella specie  l'intesa  e'  prevista  e  ad  essa  e'  da
ritenersi che il legislatore  abbia  voluto  subordinare  l'efficacia
stessa  della   regolamentazione   delle   infrastrutture   e   degli
insediamenti contenuta nel programma di  cui  all'impugnato  comma  1
dell'art. 1. Nel congegno sottostante all'art. 118, l'attrazione allo
Stato di  funzioni  amministrative  da  regolare  con  legge  non  e'
giustificabile   solo   invocando   l'interesse   a   un    esercizio
centralizzato di esse, ma e' necessario un procedimento attraverso il
quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e
quindi commisurata all'esigenza di coinvolgere  i  soggetti  titolari
delle   attribuzioni   attratte,   salvaguardandone   la    posizione
costituzionale. Ben puo' darsi,  infatti,  che  nell'articolarsi  del
procedimento, al riscontro concreto delle  caratteristiche  oggettive
dell'opera e dell'organizzazione di persone e mezzi che essa richiede
per  essere  realizzata,  la   pretesa   statale   di   attrarre   in
sussidiarieta' le funzioni amministrative ad  essa  relative  risulti
vanificata, perche' l'interesse sottostante,  quale  che  ne  sia  la
dimensione, possa essere interamente soddisfatto  dalla  regione,  la
quale,   nel   contraddittorio,   ispirato   al   canone   di   leale
collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo  alleghi,
ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacita'
di svolgere in tutto o in parte la funzione. 
    L'esigenza costituzionale che la sussidiarieta'  non  operi  come
aprioristica modificazione delle competenze regionali in astratto, ma
come metodo per l'allocazione di funzioni a  livello  piu'  adeguato,
risulta  dunque  appagata  dalla  disposizione  impugnata  nella  sua
attuale formulazione». 
    Si tratta di una conclusione che non e' stata mai smentita  dalla
successiva giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, che
e' infatti costante nell'affermare che  la  necessita'  di  prevedere
idonee procedure  di  concertazione,  ovvero  «momenti  di  reciproco
coinvolgimento  istituzionale  e  di  necessario  coordinamento   dei
livelli di governo statale e  regionale»  (Corte  cost.  sentenza  n.
213/2006; n. 240/2007), sorge in tutti i  casi  in  cui  vi  sia  una
concorrenza di funzioni legislative tra Stato e regioni che impone di
compensare la sottrazione «a monte» di ambiti di competenza regionale
da parte dello Stato con la previsione «a valle» di adeguate forme di
raccordo con le regioni  nell'attuazione  delle  scelte  operate  dal
legislatore statale (6) . 
    In questi casi il rispetto del principio di leale  collaborazione
di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione si pone come  vera  e
propria condizione di validita' della legge  statale  invasiva  della
competenza legislativa regionale. 
    Con   la   conseguenza   che    devono    ritenersi    senz'altro
incostituzionali  le  disposizioni  legislative,  come   quella   qui
impugnata,  che  omettano  di  predisporre  «adeguati  strumenti   di
coinvolgimento delle regioni, a difesa delle loro competenze», capaci
di «contemperare le ragioni dell'esercizio unitario delle stesse  con
la  garanzia  delle  funzioni  costituzionalmente   attribuite   alle
autonomie» (ex plurimis Corte  costituzionale  sentenze  n.  303  del
2003; n. 6 del 2004; n. 65 del 2016, n. 88 del  2014  e  n.  139  del
2012; n. 251 del 2016). 
    Pertanto, dal momento che in relazione ai decreti del  Presidente
del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da
finanziare, i relativi importi e,  se  necessario,  le  modalita'  di
utilizzo dei contributi, non e' previsto alcun  coinvolgimento  delle
regioni si determina la violazione degli articoli 117, III e IV comma
e  118  della  Costituzione,   nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. 
    3. Inoltre, si determina altresi', in assenza della previsione di
una Intesa riguardo ai suddetti decreti del Presidente del  Consiglio
dei ministri, la violazione dell'art. 119 Cost., dal momento  che  le
disposizioni impugnate strutturano, nella misura in cui attengono  ad
ambiti materiali rimessi alla  competenza  delle  regioni,  forme  di
finanziamento   non   riconducibili   ad   alcuna   della   modalita'
costituzionalmente consentite dal suddetto art. 119 Cost. 
    Al riguardo, e' opportuno richiamare la sentenza n. 49 del  2004,
con cui codesta ecc.  ma  Corte  e'  intervenuta  a  censurare  fondi
statali istituiti in ambiti e per «finalita'  estranee  a  materie  o
compiti di competenza esclusiva dello Stato,  ma  [che]  sono  invece
riconducibili a materie e ambiti di competenza concorrente (a partire
dal "governo del territorio") o residuale delle regioni». 
    In tale pronuncia si rimarcava, come peraltro avviene nel caso di
specie, che «[l]e norme  impugnate  non  prevedono  alcun  ruolo  per
queste ultime [le regioni] ... limitandosi a prevedere,  in  sede  di
prima  applicazione,  deliberazioni  "delle  competenti   Commissioni
parlamentari"». 
    Piu' recentemente puo' essere  al  riguardo  ricordata  la  (gia'
menzionata) sentenza n. 211 del 2016, con  la  quale  codesta  ecc.ma
Corte  ha  stabilito  che  i  criteri  di  riparto  del   Fondo   per
l'adeguamento del parco mezzi destinato al trasporto pubblico  locale
e regionale possono legittimamente essere determinati da  un  decreto
ministeriale, solo previa intesa con le regioni. 
    Questo in quanto i) si tratta di un intervento  di  finanziamento
che «attiene  a  materia  sicuramente  rientrante,  come  piu'  volte
ribadito da questa  Corte,  nell'ambito  delle  competenze  regionali
residuali, qual e' quella del  trasporto  pubblico  locale»,  ii)  si
tratta di  «risorse  aggiuntive  rispetto  alla  ordinaria  capacita'
finanziaria regionale locale finalizzate a un intervento specifico  e
vincolato ma a  carattere  generale  non  essendo  destinato  solo  a
determinati  ambiti   territoriali»,   iii)   per   cui   «l'impianto
costituzionale relativo alla competenza residuale  delle  regioni  in
materia di trasporto pubblico  locale  e  di  interventi  statali  di
finanziamento in tale settore  deve  conciliarsi  con  l'esigenza  di
assicurare la massima continuita', adeguatezza e grado di omogeneita'
del servizio di  trasporto  pubblico  locale  sull'intero  territorio
nazionale. La predetta esigenza e' soddisfatta attraverso il concorso
di tutti  gli  apporti  finanziari  possibili,  ivi  compresi  quelli
statali in  funzione  di  sostegno  ed  integrazione  delle  limitate
risorse regionali  disponibili,  siano  gli  interventi  a  carattere
generale, siano invece mirati a finalita' specifiche». 
    Richiamando,  quindi,  in  relazione  al   principio   di   leale
collaborazione, sia la sentenza n. 273 del 2013, sia le  sentenze  n.
168 del 2008 e n. 222 del 2005, ha concluso che «proprio perche' tale
finanziamento interessa  materia  comunque  di  competenza  residuale
regionale quale e' il trasporto pubblico locale,  occorre  assicurare
il piu' ampio coinvolgimento decisionale  del  sistema  regionale  in
ordine   al   riparto   delle   risorse   finanziarie   in   oggetto;
coinvolgimento che si realizza attraverso lo strumento della  "previa
intesa" con la Conferenza permanente Stato-regioni (in tal senso,  ex
multis, sentenza n. 168 del 2008 ma anche, da ultimo, sentenza n. 147
del 2016)». 
    Anche nel caso di  specie,  si  tratta  di  risorse  «aggiuntive»
rispetto  alla  «alla  ordinaria  capacita'  finanziaria  regionale»,
peraltro che vengono  investite  su  progetti  delle  amministrazioni
statali ma inerenti a ambiti di competenza regionale. 
    4. E'  quanto  mai  opportuno,  quindi,  che  questa  consolidata
giurisprudenza trovi conferma anche in  relazione  al  meccanismo  di
funzionamento del Fondo previsto  dalla  disposizione  impugnata:  la
mancanza  di  coinvolgimento  dell'insieme  delle  regioni,   tramite
Intesa, nelle materie di loro  competenza  ingenera,  altrimenti,  la
prassi di assegnazioni  di  risorse,  non  solo  i)  sganciate  dalla
puntale  rilevazione  delle  esigenze  dei  territori   in   cui   le
infrastrutture vengono realizzate - che le regioni a tal fine possono
fare palesi e anche raccordare con la  programmazione  della  propria
spesa di investimento - ma anche  ii)  in  difetto  della  necessaria
trasparenza che deve accompagnare le scelte statali  di  investimento
in tali ambiti: una determinata  realta'  territoriale  puo'  infatti
risultare  favorita  e  un'altra  penalizzata   in   forza   di   una
discrezionalita' politica destinata a rimanere oscura  per  l'insieme
delle regioni. 
    In definitiva, le norme censurate attengono al  finanziamento  di
progetti infrastrutturali presentati dalle  amministrazioni  centrali
dello Stato non solo in materie  rimesse  alla  competenza  esclusiva
dello Stato, ma attinenti anche e soprattutto a materie di competenza
delle regioni, senza che, in relazione ai decreti del Presidente  del
Consiglio dei ministri che eppure intervengono  in  tali  ambiti  sia
prevista alcuna forma di coinvolgimento delle regioni.  Si  determina
cosi' la violazione delle menzionate disposizioni costituzionali. 
    5. Non valgono certamente a escludere l'esposta  lesivita'  della
disposizione impugnata i successivi 1073 e 1074,  che  prevedono  che
una quota annua pari a 70 milioni di euro del finanziamento del fondo
possa essere destinata anche al finanziamento  degli  «interventi  di
mitigazione del rischio idrogeologico nelle regioni del centro-nord»,
dal momento che prevedono una assegnazione di una  minima  quota  del
Fondo alle  regioni  che  peraltro  e'  solo  eventuale:  le  censure
esposte, infatti, riguardano la strutturale  mancanza  di  intesa  in
relazione ai tutti i precisi ambiti  materiali,  prima  precipuamente
individuati, rimessi alla competenza concorrente delle  regioni,  sui
quali interviene il Fondo. 
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1079 e 1080,  per
violazione  degli  articoli  117,  III  comma,  118   e   119   della
Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della  Costituzione  per
violazione del principio di leale collaborazione. 
    Il  comma  1079  disciplina  l'istituzione  e  le  modalita'   di
funzionamento del Fondo  per  la  progettazione  degli  enti  locali,
destinato  al  cofinanziamento  della  redazione  dei   progetti   di
fattibilita' tecnica ed economica e  dei  progetti  definitivi  degli
enti locali per opere destinate alla messa in sicurezza di edifici  e
strutture pubbliche, con una dotazione  di  30.000.000  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2018 al 2030. 
    Il successivo comma 1080 disciplina i criteri e le  modalita'  di
accesso,  selezione  e  cofinanziamento  dei  progetti,  nonche'   le
modalita' di recupero delle risorse in caso di mancato  rispetto  dei
termini indicati ai commi 1082 e  1083,  stabilendo  che  i  suddetti
criteri siano definiti con decreto del Ministro delle  infrastrutture
e dei trasporti, senza prevedere alcun coinvolgimento delle regioni. 
    Il medesimo comma specifica inoltre  che  i  progetti  ammessi  a
cofinanziamento devono essere  previsti  nella  programmazione  delle
amministrazioni proponenti e che possono essere  finanziati  anche  i
costi connessi alla redazione dei bandi  di  gara,  alla  definizione
degli schemi di contratto e  alla  valutazione  della  sostenibilita'
finanziaria dei progetti. 
    I  successivi  commi,  dal  numero  1081  al  1084   disciplinano
ulteriori aspetti della procedura. 
    In questi termini, i commi 1079 e 1080, nella misura in  cui  non
prevedono,   nell'emanazione   del   decreto   del   Ministro   delle
infrastrutture e dei trasporti, alcun coinvolgimento  delle  regioni,
si pongono in violazione degli articoli  117,  III  comma,  118,  119
nonche'  degli  articoli  5  e  120  Cost.  sul  principio  di  leale
collaborazione perche' estromettono le regioni  dai  procedimenti  di
determinazione dei criteri ai  fini  dell'erogazione  dei  contributi
necessari alla  realizzazione  dei  medesimi  interventi,  nonostante
l'ambito   materiale   dell'intervento   di   finanziamento   attenga
senz'altro a una materia, la messa in sicurezza degli  edifici,  che,
come   esplicitamente   riconosciuto   da   codesta   ecc.ma    Corte
costituzionale nella sentenza n. 189 del 2015, attiene a vari  ambiti
«di competenza statale e regionale (fra cui la tutela  dell'ambiente,
il governo del territorio, la protezione civile, l'ordinamento  della
comunicazione,   la   tutela   della   salute),   ma   essenzialmente
riconducibili a lavori  di  manutenzione  straordinaria  e  messa  in
sicurezza del territorio». 
    Peraltro, anche la sentenza n. 101 del 2013 aveva gia' inquadrato
in termini analoghi la materia. 
    In assenza quindi del coinvolgimento delle regioni,  l'intervento
statale si concretizza in un  intervento  speciale  di  finanziamento
statale agli enti locali privo della rispondenza ai canoni  richiesti
da codesta ecc.ma Corte per superare il vaglio di costituzionalita' e
si presenta come «uno strumento indiretto ma pervasivo  di  ingerenza
dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli  enti  locali,  e  di
sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente  a
quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali  di
propria competenza» (sentenza n. 16 del 2004; nonche', conformemente,
sentenze n. 423, n. 320 e n. 49 del 2004)» (cosi' sentenza n. 189 del
2015). 
    Codesta ecc.ma Corte, infatti, ha  chiarito  che  gli  interventi
speciali di  cui  al  V  comma  dell'art.  119  Cost.  devono  essere
aggiuntivi  rispetto  al   finanziamento   normale   delle   funzioni
amministrative spettanti  all'ente  territoriale  (art.  119,  quarto
comma, Cost.), devono riferirsi alle finalita' di perequazione  e  di
garanzia enunciate nella norma costituzionale, o  comunque  a  «scopi
diversi» dal normale esercizio delle funzioni, infine  devono  essere
indirizzati non gia' alla generalita' degli enti territoriali, bensi'
a determinati enti territoriali  o  categorie  di  enti  territoriali
(sentenze n. 79 del 2014, n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013, n.  176  e
n. 71 del 2012). 
    A differenza della fattispecie decisa con la  ricordata  sentenza
n. 189 del 2015,  dove  il  finanziamento  statale  degli  interventi
straordinari di messa in sicurezza del territorio era  relativo,  dal
punto di vista temporale, solo all'anno 2014 e, dal  punto  di  vista
materiale, diretto  esclusivamente  ai  «Comuni  con  meno  di  5.000
abitanti» e quindi «volto a destinare risorse aggiuntive in favore di
determinate categorie di Comuni» (enfasi ns.), nel caso  delle  norme
impugnate il finanziamento non assume carattere straordinario, ma  i)
ha una valenza temporale di ben tredici anni e ii)  e'  diretto  alla
generalita' dei Comuni: le norme impugnate, pertanto, non possono  in
alcun modo essere fatte rientrare in uno  degli  interventi  speciali
previsti dall'art. 119, quinto comma, Cost. 
    Le disposizioni impugnate, quindi, se, da un  lato,  istituiscono
un fondo statale a destinazione vincolata in un ambito materiale dove
si realizza una concorrenza di competenze, tra le quali, come  detto,
molte (come la protezione  civile,  il  governo  del  territorio,  la
tutela  della  salute)  riconducibili   alla   competenza   regionale
concorrente, dall'altro non prevedono alcuna forma  di  concertazione
con le regioni ai fini dell'adozione del decreto del  Ministro  delle
infrastrutture e dei trasporti diretto a  determinare  i  criteri  di
accesso al fondo stesso. 
    In questi termini, nella  misura  in  cui  non  e'  prevista,  al
riguardo, l'intesa con le regioni, risulta quindi violato l'art.  119
della Costituzione e il principio di leale collaborazione di cui agli
articoli  5  e  120  della   Costituzione,   dal   momento   che   la
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale e' costante nel
ritenere che  solo  la  previsione  di  un'intesa  nell'ambito  della
Conferenza unificata varrebbe a rendere costituzionalmente legittimo,
in virtu' del processo di concertazione e condivisione,  un  fondo  a
destinazione vincolata (in tal senso, sentenze numeri 16 del 2010, 79
del 2011, 201 del 2007, 219 del 2005 e 50 del 2005). 
    Peraltro, nella sentenza n. 142 del 2008, avente  ad  oggetto  la
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  1121,  1122  e  1123,
della legge n. 296 del 2006 che istituiva un Fondo per  la  mobilita'
sostenibile, relativo quindi  a  un  ambito  materiale  con  spiccate
analogie con quello delle  norme  qui  impugnate,  si  e'  affermato:
«...poiche' il Fondo in esame produce  effetti  anche  sull'esercizio
delle attribuzioni regionali in materia di trasporto pubblico  locale
affinche' esso si svolga nei limiti della sostenibilita'  ambientale,
si giustifica l'applicazione del principio  di  leale  collaborazione
(sentenze n. 63 del 2008; n. 201 del 2007;  n.  285  del  2005),  che
deve, in ogni caso, permeare di se' i rapporti  tra  lo  Stato  e  il
sistema delle autonomie (sentenza n. 50 del 2008). Nel caso in esame,
invece, i commi 1122 e 1123 dell'art. 1 non tengono  conto  di  detto
parametro, attribuendo al Ministro dell'ambiente e della  tutela  del
territorio e del  mare,  senza  alcun  coinvolgimento  regionale,  il
potere di stabilire, di concerto con il Ministro  dei  trasporti,  la
destinazione delle risorse del Fondo, e di prevedere  la  quota,  non
inferiore al cinque per cento, da destinare agli  interventi  per  la
valorizzazione  e  lo  sviluppo  della   mobilita'   ciclistica.   Le
necessarie  forme  di  leale  collaborazione,  avendo  riguardo  agli
interessi implicati e alla peculiare  rilevanza  di  quelli  connessi
all'ambito materiale  rimesso  alla  potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato, possono,  d'altro  canto,  dirsi  adeguatamente  attuate
mediante  la  previa  acquisizione  del   parere   della   Conferenza
unificata, competente in materia secondo la legislazione vigente,  in
sede di adozione  del  decreto  ministeriale  di  destinazione  delle
risorse del Fondo. Da cio'  consegue  che  i  predetti  commi  devono
essere dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte  in  cui
non  prevedono  che  il  decreto  ministeriale  sia  emanato   previa
acquisizione del parere della Conferenza unificata» (sent. n. 142 del
2008, p.to 5 del Considerato in diritto). 
    Quindi,  in  definitiva  codesta  ecc.ma  Corte  «ha   dichiarato
costituzionalmente illegittime norme che disciplinavano i  criteri  e
le modalita' ai fini  del  riparto  o  della  riduzione  di  fondi  e
trasferimenti destinati ad enti territoriali, nella  misura  in  cui,
rinviando a fonti secondarie di attuazione, non prevedevano "a monte"
lo strumento dell'intesa con la Conferenza unificata non solo in caso
di intreccio di  materie,  riconducibili  alla  potesta'  legislativa
statale e regionale (ex plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche
in caso di potesta' legislativa  regionale  residuale  (ex  plurimis,
sentenze n.  27  del  2010;  nonche',  in  specifico  riferimento  al
trasporto pubblico locale, n. 222 del 2005), affermando costantemente
la necessita' dell'intesa (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del
2013)» (sent. n. 273 del 2013). 
    L'assenza di una qualsivoglia forma di leale collaborazione rende
quindi evidente la violazione degli art. 117, III comma,  118  e  119
Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli  5
e 120 Cost. 

(1) Il          Rapporto          e'          pubblicato           in
    http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/contr
    ollo/sez_autonomie/2017/delibera_17_2017.pdf 

(2) La  tabella  e'  tratta  dal  Documento  di  economia  e  finanza
    regionale  segreteria  generale   della   programmazione   unita'
    organizzativa sistema dei controlli e attivita' ispettive dcr  n.
    170 del 7 dicembre 2017, pag. 43. Il  documento  e'  visibile  in
    https://www.regione.veneto.it/web/programmazione/defr 

(3) La tabella e' tratta dal citato Documento di economia  e  finanza
    regionale  segreteria  generale   della   programmazione   unita'
    organizzativa sistema dei controlli e attivita' ispettive dcr  n.
    170 del 7 dicembre 2017. 

(4) Relazione tecnica al ddl bilancio dello  Stato  2018  A.S.  2960:
    «Art. 58. - Il comma 1 ridetermina gli oneri complessivi posti  a
    carico del bilancio dello Stato per la contrattazione  collettiva
    relativa al triennio 2016-2018 e per  i  miglioramenti  economici
    del personale dipendente dalle amministrazioni statali in  regime
    di diritto pubblico in complessivi 300 milioni di euro per l'anno
    2016, 900 milioni di euro per l'anno 2017 e 2.850 milioni di euro
    a decorrere  dal  2018  con  un  incremento,  rispetto  a  quanto
    previsto  dalla  legislazione  vigente,  di  1.650  mln  di  euro
    dall'anno 2018 (Tabella n. 1). Il comma 2 precisa che gli importi
    complessivi come sopra  indicati  sono  comprensivi  degli  oneri
    contributivi ai fini previdenziali e dell'imposta regionale sulle
    attivita' produttive (IRAP) e concorrono a  costituire  l'importo
    complessivo massimo di cui all'art.  11,  comma  3,  lettera  g),
    della legge n.  196/2009  [...]  Gli  importi  complessivi  sopra
    indicati corrispondono a incrementi retributivi per il  2016,  il
    2017 e  a  decorrere  dal  2018,  rispettivamente,  dello  0,36%,
    dell'1,09% e del 3,48% del complessivo monte salari utile ai fini
    contrattuali - determinato sulla base dei dati del conto  annuale
    2015 e costituito dalle voci retributive a titolo di  trattamento
    economico principale e accessorio -  al  netto  della  spesa  per
    l'indennita' di vacanza contrattuale (IVC) nelle misure vigenti a
    decorrere dal 2010, maggiorato degli oneri contributivi  ai  fini
    previdenziali e dell'imposta regionale sulle attivita' produttive
    (IRAP). Lo scorporo dell'IVC si rende necessario in  quanto  tale
    indennita',  ai  sensi  della   legislazione   vigente,   e'   da
    considerarsi quale beneficio  contrattuale  riferito  al  periodo
    2016-2018 e, pertanto, non puo' essere presa a riferimento per la
    determinazione   degli    ulteriori    miglioramenti    economici
    concernenti tale triennio. La predetta percentuale del  3,48%  e'
    stata determinata considerando  l'obiettivo  di  cui  all'accordo
    stipulato con le OO.SS dal Ministro per la semplificazione  e  la
    pubblica amministrazione il 30 novembre  2016  di  riconoscere  a
    decorrere dal 2018 benefici medi  mensili  di  85  euro  lordi  e
    prendendo a  riferimento  la  retribuzione  media  del  personale
    appartenente ai  comparti  oggetto  di  tale  Accordo  (personale
    contrattualizzato in regime privatistico  n.  2.709.745  unita'.)
    risultante dal medesimo conto annuale 2015, pari  a  31.749  euro
    annui lordo dipendente netto IVC. In relazione a quanto sopra, le
    risorse complessivamente destinate al  rinnovo  contrattuale  del
    personale in regime privatistico  appartenente  al  solo  settore
    Stato (unita' n. 1.326.928) in applicazione dell'art.  48,  comma
    1, del decreto legislativo n. 165/2001, sono pari a 189,7 milioni
    di euro per l'anno 2016, a 574,4 milioni di euro per l'anno  2017
    ed a 1.833,9 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018. Il comma
    3,   stabilisce   che,   per   il   personale    dipendente    da
    amministrazioni,   istituzioni   ed   enti    pubblici    diversi
    dall'amministrazione   statale,   gli   oneri   per   i   rinnovi
    contrattuali per il triennio 2016-2018, nonche' quelli  derivanti
    dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale  di
    cui all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,
    n. 165, sono posti a  carico  dei  rispettivi  bilanci  ai  sensi
    dell'art. 48, comma 2, del medesimo decreto  legislativo  n.  165
    del   2001.   Gli   oneri   complessivi    per    il    personale
    contrattualizzato in regime privatistico del  settore  non  Stato
    sono determinati a carico dei predetti bilanci, secondo i criteri
    sopra indicati per il settore Stato. Il comma 4  prevede  che  le
    disposizioni recate dal comma 3 si applicano anche  al  personale
    convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.» (Enfasi ns.). 

(5) http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&
    leg=17&id=1063787#_Toc421032021 

(6) Sui limiti di tale compensazione, v., per tutti, A.  D'Atena,  Le
    aperture dinamiche del riparto delle competenze, tra punti  fermi
    e nodi non sciolti, in Le Regioni, fasc. 4-5, 2008, 811  ss.;  S.
    Mangiameli, Letture sul regionalismo italiano, Torino,  2011,  61
    ss., il quale mette  in  dubbio  l'ammissibilita'  di  un  simile
    «scambio tra competenza e partecipazione».